Cinque anni fa, Daniele Discrede perse la vita, da padre, da eroe. Oppose il suo corpo per salvare sua figlia dalle pallottole sparate da un commando di rapinatori mai identificati. Tutto ciò, davanti alla sua attività di via Roccazzo. Morì sotto lo sguardo incredulo della sua bambina, lo stesso sguardo incredulo di una città che ancora si chiede il perché di un omicidio che del quale neanche gli inquirenti hanno trovato giustificazione. Oggi, cinque anni dopo, il fratello Vito, che in questo lungo periodo ha lottato insieme alla famiglia per scoprire la verità, parla al fratello. Come se ci fosse ancora. Perché in fondo c’è ancora. (red.)
CARO FRATELLO
“Pronto fraté dove sei? Ti volevo chiedere di quella cosa… sì, ma non cominciare o suolito tuo che sei nato vecchio u sai”. Le telefonate con Dani erano così, appena sentivo la sua voce dall’altra parte sapevo che potevo aspettarmi di tutto. Da sempre il nostro legame di fratelli era stato intenso ma turbolento: dai calci nel divano letto che dividevamo da bambini, alle partite infinite di pallone che ziccuso com’era non voleva perdere mai; alle notti ad aspettare che rincasava, salvo vinto dal sonno crollare per poi sentire la mattina dopo i suoi sermoni sulla puntualità.
IL RAPPORTO CON LE DONNE E IL PROFUMO
Per non parlare del suo rapporto con l’universo femminile: con l’altra parte del cielo Dani aveva un feeling specialissimo, un fedele fedifrago, amabilissimo nella fase post tradimento del quale mi pregiavo di essere suo consulente. Aveva un concetto tutto suo della fedeltà. Astruso, aggrovigliato sempre con la parola libertà di cui era fiero alfiere: liberi di pensarla come volete ma liberi. “Hai il vantaggio di pensare non troppo alle donne…”, mi diceva. Dalle donne in generale era amato, non solo in campo squisitamente amoroso: mamma, le sorelle, le figlie, mia moglie, tutte stravedevano per Dani. Per quel suo entusiasmo, per l’approccio alla vita generoso, per le sue guasconate, dai gavettoni a ferragosto conditi dai colpi di mellone ai fuochi d’artificio a Capodanno, per i suoi ritardi cronici a pranzo la domenica con le scuse più disparate (una volta disse di aver dovuto soccorrere un vicino in panne non sapendo che il tizio non guidava…). E poi per il suo profumo del quale si inondava finita la doccia (due al giorno rigorosamente e in estate anche tre): intenso, fragrante ma mai invadente, che oramai con gli anni avrebbe potuto non usare più visto quanto ne era impregnato.
MAI SMETTERE DI LOTTARE
Quel profumo ci manca da cinque anni oggi. Da quella sera dove per difendere sua figlia, il suo lavoro e il frutto dello stesso, ha affrontato a suo modo, petto in fuori e testa alta, tre manigoldi armati che non hanno risparmiato piombo e crudeltà per appropriarsi della sua borsa. Dani è andato via lungo la corsa in ospedale, dopo essersi raccomandato di occuparsi di Asia. È andato via a suo modo, rimanendo libero e non smettendo di combattere sino all’ultimo istante, senza voler voltare o calare la testa. Lasciandoci un grande vuoto ma anche un messaggio: mai smettere di lottare per quello in cui si crede. No, mi sbagliavo… il suo profumo è qui sempre con noi.
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