Il trionfo di Pietro Bartolo, che ha messo in riga le deputate uscenti Caterina Chinnici e Michela Giuffrida, non era per nulla scontato alla vigilia. I big del partito, da Antonello Cracolici a Giuseppe Lupo, esplicitamente e sotto traccia, avevano fatto trapelare le loro intenzioni di voto a favore delle due eurodeputate uscenti. L’unico che sin dalla prima ora e a viso aperto aveva dichiarato il suo sostegno per il medico di Lampedusa era stato Leoluca Orlando. Forte del suo fiuto e di una regola a cui non concede eccezioni: andare dal lato opposto rispetto a quello dei capi corrente. Ovviamente, come in ogni storia che si rispetti, oggi la vittoria di Bartolo ha molte madri e diversi padrini.
LA SPALLATA AI BIG
Intanto la spallata al Pd è arrivata. E non si parla di consenso e di numeri. Adesso in ballo c’è la credibilità della classe dirigente del partito che non può negare di aver sostenuto alcuni candidati – nella fattispecie le due deputate uscenti – senza riuscire ad assicurare loro il necessario traino. E le cose sono due: o i big non contano più tanto, oppure le candidature erano già deboli all’origine, residuo di quella stagione renziana che cinque anni fa, proprio in occasione delle Europee, anche in Sicilia aveva prodotto un piccolo miracolo, tra alleanze ardite (quella con Lino Leanza, sponsor appunto della Giuffrida) e sfondamento verso il centro.
PARLARE AI GIOVANI
La vittoria di Bartolo getta le basi per aprire un dibattito serio che riguarda il ricambio generazionale di un partito che mantiene un certo appeal, ma che ha ancora bisogno del papa straniero per parlare a quella borghesia che da tempo ha mandato in soffitta ogni residuo ideologico e che oggi appare il bacino d’utenza naturale. E soprattutto riprendere un contatto con i giovani che non possono comprendere il linguaggio “ministeriale” usato per troppi anni. Non basta andare su facebook e fare qualche diretta social, adesso serve un contenuto. Quello che Bartolo, per una volta, è riuscito a garantire.
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