C’è gente che ha avuto mille cose. Era l’incipit di una meravigliosa canzone di Sergio Endrigo, diventata il tormentone che dentro la testa di Enrico si ripete ogni mattina, non appena aperti gli occhi. Con il tempo ci ha fatto l’abitudine, ma soprattutto all’inizio non è stata facile. Anzi, diciamola tutta: Enrico era andato fuori di testa. Vincere un miliardo e farsi fottere dalla vita non era cosa semplice. C’è riuscito in quattro mosse e ha perso tutto. Ma soprattutto ha perso se stesso.

LA PICCOLA TRUFFA QUOTIDIANA

Enrico ovviamente è il nome che copre l’identità di questo libero professionista che nel breve volgere di un semestre ha perso libertà e professione, oltre alla famiglia che s’è sgretolata con la lentezza e la progressione di una clessidra. E infine anche la dignità, rinnegando le convinzioni di una vita. Non era mai stato un santo, ma neanche un truffatore. Anche a questo ha dovuto inchinarsi, alla piccola truffa quotidiana per continuare ad esistere.

IL SUPERENALOTTO

Tutto comincia in maniera casuale, la condivisione con gli amici di una pausa pranzo in cui si gioca al totonero. Era il tempo in cui lo Stato non aveva ancora liberalizzato le scommesse. Mille lire ciascuno, più per definirsi veramente esperti di calcio che per inseguire la vincita. La gloria più del soldo. Qualche volta ci azzeccavano e finiva tutto a Negroni. Poi, verso la fine del 1998, entrò in ballo il Superenalotto. L’inizio della fine.

SALE IL MONTEPREMI

Non vincono mai, il montepremi sale e scatta qualcosa di imprevedibile, specie per chi non ha mai avuto la malattia del gioco. Enrico la racconta così. “Mi ricordo la prima volta che pensai a come poteva cambiare la mia vita se avessi vinto mezzo miliardo. Adesso sembra niente, allora con mezzo miliardo ci compravi due case decenti. Poi pensai a cosa avrei fatto se di miliardi ne avessi vinto 6, come il fortunato che poco prima di Natale aveva fatto un 5+1. Cominciai a puntare da solo, singole giocate, poi i sistemi che richiedono studi”.

GIOCAVO I SOLDI DEL MUTUO

“Ma il tempo non mi mancava, allora era responsabile di un ufficio vicino al porto, la mattina spesso non veniva nessuno per ore. Non avevo detto a nessuno di questa mania, mia moglie aveva intuito qualcosa, ma non poteva pensare che buttavo nelle ricevitorie 100.000 lire a settimana. Con quei soldi ci avremmo dovuto pagare il mutuo”.

IL SOGNO CHE S’AVVERA

Non diciamo il giorno preciso in cui la vita di Enrico cambiò per sempre, ma l’anno era il 1999. E quasi alle soglie del nuovo secolo ecco che il sogno s’avvera. Una delle sei giocate di Enrico fa centro. Un miliardo trecentoventi milioni che ti trovi in tasca e non sai neanche come dirlo e a chi dirlo. Enrico non sceglie la moglie e neanche i complici del totonero, bensì un amico con cui ha condiviso in passato segreti sentimentali. Arriva da lui, gli butta la ricevuta miliardaria sul tavolo e scappa.

CI SIAMO FATTI MALE DA SOLI

“Mi ha rincorso per strada, mi sono fermato alla Statua solo perché il cuore non reggeva più”. Le sue prime parole all’amico sembrano profetiche: “Perché a me questa disgrazia?”. E l’altro ovviamente ride. Il racconto dell’incasso è superfluo, anche se sarebbe istruttivo. Come riprende la vita da miliardario? “Con tanti pensieri, il primo è quello di convincere la tua famiglia a non parlare. Bisognava stare zitti ed evitare gli sciacalli. Noi in realtà ci siamo fatti male da soli”

SPENDERE COME I CAFONI

In poche settimane 200 milioni hanno cambiato proprietario, tra automobili (2), moto, viaggi, piccoli sfizi, il saldo del mutuo, qualche aiuto in ambito familiare. Poi è la volta della villa al mare che si rivela una autentica succhiasoldi. Architetto amico e come tale schiavo di scelte bizzarre, la piscina dove non dovrebbe esserci, il camino obbligatorio “perché altrimenti d’inverno non ci veniamo mai in questa casa”, il piano interrato per fare la sala giochi e gli arredi che sembrano presi dal catalogo cafonal delle case dei ricchi, ma quelli veramente ricchi.

I NEGOZI E LA RAPINA Miliardo che mi ha rovinato

La botta definitiva arriva con l’apertura di due negozi, una rivendita di moto per il figlio, una profumeria per la moglie,  aperta in una zona dove la concorrenza è forte. Prima di stipulare l’assicurazione (superfluo sottolineare quale…) arriva la prima rapina che si porta via oltre 100 milioni di magazzino. Risultato: rimangono pochi spiccioli ed Enrico intanto si era pure licenziato. Cerca di tornare indietro, ma trova chiuse tutte le porte. Non si perdona facilmente chi ha avuto culo, figurarsi chi l’ha pure sprecato.

IL BUCO E GLI STROZZINI

La profumeria chiude dopo un anno lasciando un buco non indifferente e un conto aperto con gli strozzini. La tensione sale anche in famiglia fino a provocare lo scoppio. Ancora adesso, a distanza di 20 anni, con il figlio maggiore i rapporti sono ai minimi termini. Inutile sottolineare che tra i due calò il gelo con il calare della saracinesca. Risultato: conto corrente azzerato, del miliardo e passa non c’è più traccia, la villa non esiste più, la prima casa, dopo la separazione, è rimasta alla moglie.

ASPETTANDO QUOTA 100

La vita di Enrico è fatta oggi soltanto di presente. Il passato è alle spalle, compresa la crisi mistica che l’ha portato a pensare che Dio avesse voluto “punirmi per la fortuna immeritata”. Di futuro neanche a parlarne. “Spero che resista quota 100, ci arriverò nel 2022, mi farò bastare quella pensione con cui continuare a vivere la mia vita risicata. Però non ho più debiti e ho accanto soltanto persone che mi vogliono bene. E questo mi basta per essere sereno con me stesso”.

Playlist: Io che amo solo te – Sergio Endrigo