Leoluca Orlando, anni 71 (ancora per poco), di Palermo è il sindaco per antonomasia. Sembrava una stella cadente già nel 1990 quando la Dc mise fine alla sua prima sindacatura. Ventinove anni fa. E 29 più 71 fa 100, numero che i suoi detrattori oggi rievocano per auguragli il congedo definitivo. Rabbrividiscano essi, perché Leoluca Orlando forse  è stato il miglior sindaco di Palermo, se si fa la media degli oltre 20 anni di regno, non fosse altro perché le epoche del suo governo sono coincise con periodi perlomeno problematici. Certamente orribile il clima del primo mandato dell’elezione diretta, quello cominciato nel 1993, nella stagione immediatamente successiva alle stragi di Capaci e via D’Amelio.

SA SCEGLIERE I NEMICI

Ma anche il suo debutto non fu semplice, la sua appartenenza alla corrente mattarelliana faceva storcere il muso ai maggiorenti democristiani che per lo più rispondevano ancora a Salvo Lima e Vito Ciancimino. E il suo ostracismo al Psi rompeva anche gli equilibri del pentapartito consolidato a Roma. Ma Orlando una cosa l’ha appresa da subito: in politica vinci se scegli bene il nemico. E Lima e i socialisti furono le sue prede designate.

SCIASCIA E FALCONE

Poi fu la volta di Leonardo Sciascia, al tempo dei cosiddetti professionisti dell’antimafia e di Giovanni Falcone, accusato di tenere chiusi nel cassetto i segreti del cosiddetto terzo livello colluso con la mafia (cioè i politici siciliani). Perché più di rango erano e più la contrapposizione garantiva visibilità. Oggi deve accontentarsi di quello che passa il Governo nel vero senso della parola, cioè Matteo Salvini. Di assist gliene arrivano in quantità, ma i colpi ad effetto servono più per la platea che per il risultato.

LA POLEMICA CON ALAIMO

La polemica con Roberto Alajmo, nella giornata conclusiva di Marina di libri, è la testimonianza di un fiuto in ribasso. Aggressione immotivata, scorie di un evidente rancore. Ha detto del vero, usando peraltro una metafora degna dei suoi giorni migliori, ma l’applauso non è scattato. Brutto, bruttissimo segnale, se persino tra i suoi fedelissimi nessuno è venuto allo scoperto nell’inutile crociata contro l’ex direttore del Teatro Biondo.

APPLAUSI ALL’EX DIRETTORE

Che al contrario ha fatto un figurone e si è meritato una intera pagina di Repubblica, proprio il giornale che aveva organizzato il dibattito tra Orlando e Franco Maresco, durante il quale il sindaco ha gettato un po’ di acido sul ritratto del giornalista da lui stesso designato alla guida del teatro stabile palermitano. Alajmo è uno dalla battuta meno fulminante, diciamo a lento rilascio, ma ha i tempi teatrali. E ha strappato l’applauso che conta, quello che precede la chiusura del sipario.

CALA IL SIPARIO?

Perché, direte voi, il sipario s’è già chiuso? Non mancano ancora 30 mesi alla fine del mandato? Verissimo, trattenete le lacrime, ma un veloce ripasso di storia ci porta dritti dritti alla conclusione che il tempo orlandiano possa dirsi consumato. Come già nel 2000, all’epoca delle sue dimissioni anticipate, non ha una coalizione attorno in grado di raccoglierne l’eredità. E la nomina di Fabio Giambrone a vice sindaco dimostra qual è la sua reale intenzione.

LA SCELTA DI FABIO GIAMBRONE

Giambrone è figlio, scudiero, interprete fedele della linea, è il naturale prolungamento più che un braccio destro, ma non rappresenta alcun valore aggiunto, al contrario del fratello maggiore FrancescoSovrintendente di un Teatro Massimo che non sbaglia un colpo -, che raccoglie consenso anche in quel campo culturale da tempo critico con il sindaco (con le dovute eccezioni di chi raccatta incarichi). Ma Leolook, instancabile narratore di una Palermo felicissima ai più invisibile, ha scelto Fabio, imporrà Fabio e proverà con Fabio a fare il suo ultimo miracolo.

LA CORTE ADORA IL DELFINO

Mancano più di 2 anni, ma le prove tecniche sono già cominciate. La provocazione del manto stradale dell’isola pedonale di Mondello ispirato a Mondrian è stata gestita da Giambrone jr in perfetto stile orlandiano: tutto azzardo e tirare dritto. La corte del re adora il delfino che già da tempo si occupa degli affari interni più spinosi. Fosse dipeso da lui sarebbe rimasto alla Gesap, ma al grande capo non si può mai dire di no. Male che vada avrà tanto da raccontare ai nipoti.

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