Acqua e anice, o meglio zammù, la bevanda tipica per eccellenza, presente in ogni famiglia palermitana. Con la sua vistosa etichetta gialla e rossa sarebbe impossibile non riconoscerla. 206 anni di storia e di tradizioni racchiuse in bottiglie in vetro mantengono, ancora oggi, il segreto di una ricetta che nessuno conosce ed è in grado di replicare.
UN SEGRETO LUNGO 206 ANNI
Un fogliettino di carta chiuso in cassaforte custodirebbe il segreto della bevanda alcolica: si dice che la ricetta di famiglia risalga al 1813 e che contenga la lista degli ingredienti top secret. Un pò come la Coca Cola, il cui segreto è uno dei più longevi dell’era industriale. Della misteriosa composizione conosciamo una piccola parte di spirito di vino, essenza di cumino e anetolo, ma della distillazione non è dato sapere. L’anice stellato viene così sciolto in acqua per dissetare mentre viene usato nel caffè come correttivo. Per i palermitani è un vero e proprio rituale che risale addirittura alle usanze degli arabi che avevano l’abitudine di dissetarsi mescolando acqua e zammù.
AFFETTUOSAMENTE ZAMMÙ
“Acqua e zammù prima io e poi tu”, dicevano una volta i palermitani davanti agli acquavitari, per mantenere l’ordine dei clienti che ogni giorni si ammassavano davanti i chioschetti sparsi per la città. Da dove deriva il nome zammù? Da sambuco, il liquore a base di semi d’anice, trasformato poi in zambuco e abbreviato affettuosamente in zammù. Una poesia di Giovanni Meli in dialetto siciliano, scritta nel 1759, descrive un acquavitaru che vende acqua con zammu’: “Pri ddu chianu chianu, girannu cu na bozza picciridda, Jia banniannu cu li gotti mmanu: “Acqua cu lu zammù chi l’haju fridda!” Testualmente “per tutto il piano di Parnaso, andando in giro con una piccola cantimplora, andava coi bicchieri in mano gridando: ” Acqua con anice veramente fresca!”
STORIE DI FAMIGLIA
A Piazza Fieravecchia, oggi Piazza Rivoluzione la famiglia Tutone gestiva una tabaccheria frequentata dall’aristocrazia palermitana. L’idea venne a Giuseppe Tutone: iniziare a produrre anice e proporlo come bibita fresca ai nobili che uscivano dal Teatro di Santa Cecilia. Oggi la produzione avviene nella fabbrica di via Garibaldi, ma sempre a Palermo. Dal presidente Alfredo Tutone al figlio, Ugo Riccardo, ogni anno vengono prodotte 100 mila bottiglie di anice, ma non solo. Nello stabilimento sono nati anche un amaro alle erbe – 33 per la precisione -, un limoncello – con limoni di Ciaculli – e uno spritz alla palermitana, un liquore a 42° chiamato Mistrà e Friscu.
TRA MITO E GLOBALIZZAZIONE
L’anice è una spezie fra le più antiche e usate in cucina, ne facevano uso i Greci, gli Egizi e i Romani, per condire le carni o preparare biscotti digestivi. L’intuizione della Famiglia Tutone è stata unica e ad oggi non esistono competitor del settore. A distruggere la favola della bevanda ‘solo’ palermitana ci ha pensato Amazon e l’e-commerce. Così la tradizione e le grafiche ‘storiche’ si scontrano con la globalizzazione e infrangono il mito. Il gusto è lo stesso, intenso e dissetante, ma senza Palermo, le basole e i quattro canti è tutta un’altra cosa.
Playlist – Carmen Consoli – ‘A Finestra