Usare la definizione standard di carriera per la vita calcistica di Michele Di Piedi, attaccante palermitano nato nel 1980, sarebbe decisamente riduttivo. Il suo percorso professionale è stato ed è ad oggi un viaggio avventuroso come quello di Gulliver, necessario e incomprimibile come quello di Gene Henderson, il re della Pioggia di Saul Bellow e interminabile come quello di Ulisse, che lo ha portato a giocare a latitudini diverse, spinto dall’amore per il gioco e dalla voglia irresistibile di ricercare nuove sfide e conoscere posti nuovi.
GLI INIZI
Centravanti dal fisico possente con i colpi della seconda punta, Michele si è formato calcisticamente nella Panormus. La prima esperienza nel Siracusa lo porta all’attenzione dei grandi club italiani: nel 1998 arriva la chiamata della Fiorentina, in cui gioca nella Primavera venendo aggregato spesso da Giovanni Trapattoni alla prima squadra e poi al Perugia di Gaucci, allenato da Carlo Mazzone. Queste esperienze gli danno l’occasione di confrontarsi con grandi giocatori ma l’esordio in A non arriva: “Ho avuto – racconta – l’onore di allenarmi con Batistuta, Rui Costa, Torricelli ma anche con gente come Amoruso, Rapajc, Melli. Allora in Italia c’erano grandi giocatori e trovare spazio per un giovane non era facile”.
NELLA CULLA DEL CALCIO
Nell’estate del 2000 ha sul tavolo diverse offerte dall’Italia ma l’interesse più concreto arriva da Sheffield, la città in cui nel 1857 nacque il primo club calcistico della storia. Lo Sheffield Wednesday, club di seconda serie dal glorioso passato in Premier League, punta forte su di lui e Michele accetta l’offerta senza remore: “Sono sempre stato affascinato dal calcio inglese e dal suo ritmo di gioco elevato. I Weds hanno dimostrato di avere grande fiducia in me ed è stata un’esperienza che mi ha lasciato tanto come calciatore e come uomo, cambiandomi la vita”.
IL RITORNO IN ITALIA
Dopo l’esperienza allo Sheffield Wednesday, Michele va a giocare in Norvegia all’ODD Grenland e successivamente all’APOEL Nicosia, uno dei club più prestigiosi di Cipro, nel quale vince il primo trofeo, la Supercoppa cipriota, procurandosi però un serio infortunio al ginocchio, in continuità con i guai fisici già avuti nel passato. Nel 2005, in un momento delicato e difficile della sua vita professionale e umana Di Piedi torna in Italia in un percorso che lo porta a giocare in diverse realtà dilettantistiche del sud Italia, dalla Sicilia alla Sardegna passando per Puglia e Calabria con un nuovo intermezzo in Inghilterra, al Doncaster Rovers:
“Nel momento peggiore della mia vita, con problemi familiari e fisici, ho deciso di scendere nei dilettanti per vedere come funzionavano le cose lì e come si lavorava. Ho fatto una scelta di campo in totale autonomia perché dai 20 anni in poi sono stato sempre procuratore di me stesso”.
L’AVVENTURA IN BIRMANIA
Il richiamo dell’estero è sempre rimasto forte e nel 2012 approda dalla Vigor Lamezia alla compagine lituana del Tauras, tornando così a calcare palcoscenici stranieri dopo 7 anni. Dopo questa breve esperienza segue un nuovo ritorno in Italia, prima al Milazzo e poi nella squadra pugliese del Nardò, due tappe che precedono l’esperienza più icastica e suggestiva della sua vita calcistica: viene infatti ingaggiato nel gennaio 2014 dal Nay Phi Taw, la squadra della capitale della Birmania, un posto meraviglioso caratterizzato da un contesto politico autoritario che solo negli ultimi tempi si è aperto a dei principi democratici. Un’esperienza soddisfacente e per certi versi sorprendente: “In Italia – racconta – si facevano delle grasse risate ma in realtà ho trovato molte più difficoltà lì che in qualunque campionato. Anche se manca il talento c’è un’intensità maggiore di gioco e i calciatori si allenano con una serietà ed un impegno impressionante”.
FINO ALLE COLONNE D’ERCOLE
Nell’estate del 2015 si esaurisce il percorso in Myanmar ma non la sua voglia di continuare a viaggiare: al suo itinerario si aggiunge il Sud America, dove approda per giocare in Venezuela con la maglia del Metropolitanos, che veste per una stagione. A 35 anni, arriva la chiamata del Mons Calpe, squadra di Gibilterra: come Ulisse Michele ha raggiunto le Colonne d’Ercole per superare i limiti, nel suo caso legati ad un’età non verdissima. Una parentesi ancora aperta, inframezzata da due fugaci esperienze in Portogallo e al Paceco, per un calciatore che non ha ancora intenzione di smettere: “Mi hanno proposto un ruolo dirigenziale ma io ancora ho una voglia enorme di continuare a giocare. Al tempo stesso voglio comunque essere un riferimento anche per i calciatori più giovani, sia sotto il profilo tecnico che sotto quello professionale, avendo l’esperienza giusta”.
MAI FERMARSI
L’insegnamento più grande che gli ha lasciato la sua carriera in giro per il mondo è l’importanza di conoscere per migliorare: “Io sono orgoglioso delle mie esperienze all’estero perché mi hanno aperto la mente”. Ai suoi colleghi più giovani suggerisce di essere tenaci: “Ai calciatori voglio dire di non arrendersi mai, nel calcio come nella vita. bisogna sempre guadagnarsi le cose e lottare anche quando le cose sembrano andare male, non intristirsi quando viene chiusa una porta, o arrendersi agli infortuni. Quando mi sono rotto la tibia in quattro pezzi o rotto i legamenti e tutti mi dicevano che ero finito ho trovato la forza per rialzarmi”. Valori che questo Ulisse del pallone, cerca di trasmettere al figlio sedicenne Francesco, attaccante delle giovanili del Cosenza, continuando a dargli l’esempio sul campo a suon di gol.
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