Come tutti i grandi campioni, anche i portieri di calcio sono spesso ricordati per un particolare gesto che caratterizza un’intera carriera, nel loro caso ovviamente si tratta di una parata. Gordon Banks su Pelè nel 1966, i rigori di Toldo nell’Europeo del 2000, Zoff in Italia – Brasile del 1982 e via di memoria… Ma voglio raccontare della parata pazzesca di un portiere, che chiameremo S., che pur non avendo avuto una grande carriera, riuscì in un sol colpo a zittire detrattori e critici con un gesto atletico fuori dall’ordinario.
IL MARCIAPIEDE
S, giocava tra gli anni ’70 e ’80 in quelli che fungevano allora da scuole calcio per migliaia di ragazzini metropolitani: i marciapiedi. Le partite, eterne, si giocavano dividendosi in squadre che erano composte dai due capitani che sceglievano dopo aver fatto la conta, un giocatore alla volta iniziando dai più bravi e via via a scendere di livello. In questo talent al contrario, il ruolo meno ambito e più reietto era quello del portiere, tanto che tra i pali (due zaini scolastici o due ” balatuna “) andavano due precise categorie di persone: i pacchiuna e i niegghi. Accadeva che alcuni incarnassero in sé ambedue le categorie ed erano allora preadolescenze autenticamente difficili. Questo valeva per tutti tranne che per S., che in porta spingeva sempre per andare, una vera insana passione.
CAMPI DI CARTA VETRATA
Longilineo, agile, non molto in carne ma di grande occhio e senso della posizione, S. ribaltò presto le gerarchie della conta e, data la delicatezza del ruolo, riuscì a finire incredibilmente tra le prime scelte. Poi si crebbe e dai marciapiedi passammo al campo INCS di viale Campania, al Malvagno, a quello dietro Di Giovanni in via Leonardo da Vinci, all’Ancione e lui sempre tra i pali a massacrarsi ginocchia e gomiti su quei campi di carta vetrata fino ai provini per le squadre giovanili della città. Sempre accompagnato dagli sfottò degli amici che continuavamo a dirgli che fare il portiere era da sfigati, che cu cciu facia fari, che stare in porta era da signorine. Ecc, ecc. Increduli e cattivelli, finché un giorno…
LE CORNA DI F.
Un giorno ero andato a casa sua insieme ad un altro amico per chiacchierare e fantasticare di musica, femmine e calcio; faceva un gran caldo in quell’appartamento all’ottavo piano e le finestre erano tutte spalancate. S. era di famiglia numerosa e l’ultimo arrivato era F., due anni di corna purissime che andava correndo casa casa a caccia di guai, che stavolta stava per trovare, e pure belli grossi.
LA PARATA DELLA VITA
Infatti appena entrati nella stanza di S. una scena ci paralizzò: F. stava per scavalcare la finestra indisturbato. Urlare sarebbe stato ancora più pericoloso, il bimbo per lo scanto rischiava di volare giù, per prenderlo ci voleva un balzo da felino. O da grande portiere. Un terzo tempo in perfetto silenzio ed S. bloccò in tuffo il pargolo, accartocciandosi su di lui a terra come Banks sul colpo di testa di Pelè. Si alzò con F. stretto tra le braccia a mo’ di pallone, ci guardò e disse: “Accussì macari ora a finiti ì pigghiarimi pù culu! ” E infatti cessammo da quel magico istante.
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