Io me lo ricordo quel 19 agosto del 1987, eccome se me lo ricordo! Faceva un caldo torrido e Giuseppe, un amico del palazzo accanto col quale condividevo infinite partite di pallone e ginocchia sbucciate, mi ricordava che a sera ci sarebbe stato “l’evento”: un mega torneo di nascondino nel quale avrebbero partecipato pure le femmine. “No compà, io stasera non ci sono. Vado allo stadio con mio padre e mio fratello.” “Allo stadio? Compà, ma guarda che al Palermo l’hanno scancellato l’anno scorso.” “Ma tu mai niente sai? Guarda che quest’anno il Palermo gioca di nuovo!” “Si, ma stasera c’è pure Alessandra… dicevi che ti ci volevi mettere?” “Giusè, poi si ci pensa ad Alessandra. Stasera c’è Palermo – Atletico Mineiro!” “Atletico Mineiro?” “Si compà!” – gli risposi sgranando gli occhi – “i brasiliani! Hai presente quelli che il telecronista quando segnano grida <>?” “Brasiliani tipo Zico e Dirceu?” “Compà tipo Zico, Dirceu, Careca, Socrates, Cerezo… Pelè!” … e lasciando il mio amico immerso nel suo stupore tornavo a casa per preparare il viaggio.
IL VIAGGIO
Tardo pomeriggio e la Fiat 127 rossa di mio padre era ancora un forno. Guidava lui e accanto c’era mio fratello. La radio in macchina non l’avevamo e a tenere banco per tutto il viaggio ci pensavano le mie mille domande (curiose di sapere quello che sarebbe stato da lì a poco) e le Nazionali senza filtro di mio padre, rigorosamente fumate col suo bocchino nero e la cui cenere – grazie al finestrino aperto per fare “aria condizionata” – si posava costantemente su di me. “Quindi si gioca con le luci accese come in Coppa dei Campioni il mercoledì?”, “Chi sono i loro giocatori più forti?”, “Come si chiama il loro capocannoniere? E il portiere?”, “Ma Carrera era forte in serie A?”, “Marchetti è quello del Cagliari?”. Non a tutte le domande c’era una risposta, anche perché chi cavolo lo conosceva l’Atletico Mineiro.
L’ATTESA
Ma a me, onestamente, delle risposte non me ne fregava proprio niente: già da ore avrei voluto essere dentro lo stadio! “Sposta ‘stu cassonetto che la infiliamo qua” esclamò mio padre. Si, perché trentadue anni fa spostare il cassonetto per parcheggiare – soprattutto quando c’era stadio – era normale. Altro che tornelli col codice a barre, pre-filtraggio, posto assegnato e cabbasisi vari: regnava “un’ordinatissima anarchia” nella quale, nel bordello più assoluto, ogni cosa – comunque – era al suo posto. Compresi i bagarini (che quella sera fecero l’incasso della vita!). “Dagli la mano a tuo fratello sennò ti perdi.” E iniziò così, a passo svelto – anzi sveltissimo – la marcia di avvicinamento verso il tempio. Ricordo che mi parvero chilometri interminabili colmi di una fiumana di gente sorridente e festosa. Vedevo bottiglie di Forst e gente che brindava. Ogni tanto sentivo un “amunì cammina” alternativamente gridatomi da mio padre e mio fratello. Fila, tornello all’antica, curva sud, gradini, anzi gradoni, gradoni e ancora gradoni.
E FINALMENTE FU STADIO!
“Minchia!” – esclamai quando arrivai all’interno dell’impianto. Quel prato verde brillante, le luci accese (che danno sempre quel fascino di epico), gli spalti – come dicevano a “tutto il calcio minuto per minuto” – gremiti in ogni ordine di posto. Anzi di più. Leggenda narra che quella sera saremo stati ben oltre i 40.000 presenti, ma sui numeri non c’è mai stato accordo. “Minchia!” – ripetei a bocca aperta. “Allora, parramu pulito, si o no?”, mi ammonì mio padre (sebbene il ghigno sotto i baffi di mio fratello mi lasciò capire che, in fondo in fondo, lì ci si poteva concedere qualche libertà dialettica). Come inebetito, non facevo che guardarmi in giro. Stavo volando altissimo, e solo qualche folata di ascelle accaldate mi riportava sulla terra. Poi li vidi, ad uno ad uno, in maglia rosa; chiamati col microfono correre dal sottopasso fino a centrocampo. Riunirsi, applaudire il pubblico e lasciarsi applaudire. Di quella partita ricordo solo il gol di Santino Nuccio ed il boato della Favorita, uno tsunami di decibel insuperato ed insuperabile. Il ritorno a casa non spense la mia “trance agonistica”. Durò per buona parte della notte passata a ripassare i nomi dei giocatori ruolo per ruolo ed a rivedere nel mio cervello pre-adolescenziale il replay del gol di Nuccio.
IO, GIUSEPPE E IL SUPER SANTOS
L’indomani scalpitavo per poter raccontare a tutti della mia esperienza e, giusto per passare inosservato, decisi di indossare la mia prima maglietta rosanero. Che – pur essendo a manica corta – era fatta di una specie di lanetta che faceva sudare già soltanto guardandola nell’armadio. Ed era la mattina del 20 agosto. Giuseppe era già giù e allora, armato di Super Santos, mi precipitai per raccontargli dettaglio per dettaglio la mia serata di calcio spettacolo. Mi accolse con una faccia da funerale. “Compà ti devo parlare”, mi disse. “No, aspetta. Prima io!”. E iniziai dalla 127, passando al cassonetto spostato, alle luci dello stadio. Dai nomi dei calciatori brasiliani alla formazione del Palermo, passando dalle ascelle sudate al gol di Santino Nuccio. “Compà ti devo parlare”, mi ripetè. “Giusè chi cci fu? Cosa c’è di così importante? Di più importante del gol di Nuccio?” “Ieri sera… ehm… nascondino… ehm… Alessandra… Ecco, ci siamo messi assieme.” Strinsi fortissimo il Super Santos sotto al braccio, talmente forte da ovalizzarlo. Anzi, diventò a cucuzza, come si diceva dalle nostre parti. Dopodiché riuscii a dire soltanto una frase: “Giusè… Mettiti in porta che ti faccio vedere il gol di Nuccio.”
ROSANERO PER SEMPRE.
Perché ci sono amori passeggeri ed altri che durano tutta la vita. Giuseppe ed Alessandra,manco a dirlo, si lasciarono dopo un paio di giorni.
Io e te, caro Palermo mio, invece stiamo ancora insieme. Nella gioia e nel dolore. Ed oggi è arrivato il momento di ricominciare a sognare.
Sognare un nuovo Palermo – Atletico Mineiro.
Sognare un gol di un nuovo Santino Nuccio.
Sognare brindisi a base di Forst che allagano viale del fante e via Alcide De Gasperi.
Sognare, perché no, ascelle sudate per il caldo agostano che si sbracciano per cantare i cori
della curva più bella del mondo.
Sognare uno stadio straripante d’amore fatto da 35.000 magliette rosanero.
Sognare un milione di altri bambini che si innamorino di te.
Perché caro Giuseppe, diciamocela tutta: vero è che Alessandra era graziusicchia, ma tu non lo saprai cosa ti sei perso. “…e quando il Palermo va in campo, fortissimo batte il mio cuor. La voce mi trema e son certo: Palermo sei l’unico amor!”
PLAYLIST: La Vie En Rose – Edith Piaf
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