Si è sempre creduto che tra la Sicilia e la Resistenza non ci fosse un nesso specifico di correlazione. Diversi fattori hanno relegato a lungo la questione in un non-luogo storiografico. In realtà il contributo dato dai siciliani nella lotta di Liberazione è stato più significativo di quanto si possa pensare. Alcuni docenti di storia contemporanea  dell’Università di Palermo hanno fatto un lungo lavoro di ricerca. Il risultato finale di questo studio è il libro “I siciliani nella Resistenza” (Sellerio, 2019)

IL PROGETTO

A spiegarci l’iniziativa è Carlo Verri, docente di Storia Contemporanea di UNIPA e curatore del progetto assieme a Tommaso Baris.L’ispirazione è arrivata da un lavoro dell’ANPI, legato allo studio del contributo meridionale nella lotta per la Liberazione. Sulla scia di questa idea noi abbiamo fatto il lavoro specifico sui siciliani.  Mostrare,cioè, la Resistenza come fenomeno pienamente nazionale”.

 

L’ANTIFASCISMO SICILIANO

Nel libro vengono ricostruite le vicende dei siciliani che hanno partecipato attivamente alla Resistenza. Questi non costituiscono di per sé un unico blocco omogeneo ma si dividono in categorie: “Ci sono due modelli – spiega Verri – di siciliani nella Resistenza.  Il primo è quello del “Già politicizzato”, migrato dalla Sicilia per ragioni economiche e politiche. Una figura anti-fascista già prima dell’8 Settembre. In questo modello si rintracciano rivoluzionari di professione, provenienti soprattutto dal cuore dell’entroterra siculo. Formatisi attraverso lo scontro di classe tra la Forza lavoro e il Padronato sostenuto dal Fascismo, si ritrovano ad emigrare in Francia o in Belgio, iscrivendosi nei Partiti Comunisti. In alcuni casi ci sono combattenti delle brigate internazionali attive in Francia e Spagna poi tornati in Italia”.

SOLDATI AL FRONTE

All’estero si trova dunque una traccia profonda dell’anti-fascismo siciliano, che rappresenta uno dei due volti della Resistenza: “L’altro tipo di modello – prosegue Verri – è quello del militare. Ai tempi della guerra c’è la coscrizione obbligatoria e tutta la popolazione maschile si ritrova arruolata. Quando arriva la notizia dell’armistizio l’8 settembre vi sono molti siciliani bloccati al fronte e impossibilitati a tornare a casa. La componente siciliana è la più spiccata tra i resistenti del meridione. Questi militari “sbandati” impegnati al nord, ma anche in Jugoslavia e Grecia non sanno inizialmente che fare. Alcuni si nascondono inizialmente ma poi vanno ad alimentare le bande partigiane. Non tanto perché fossero già anti-fascisti in senso classico ma per il rifiuto di continuare la guerra. Ciò comunque implicava una scelta di campo contro il regime. La partecipazione alle attività partigiane li porterà a maturare il rifiuto anche in senso ideologico del fascismo”.

UN CONTRIBUTO IMPORTANTE

Quello che alla fine emerge è che in realtà i siciliani hanno dato un enorme contributo nel processo di liberazione dell’Italia. Allora perché di ciò negli anni non se ne è parlato praticamente mai? Le ragioni in tal senso sono diverse: “In territorio siciliano – conclude Verri – in effetti non c’è stata una Resistenza, perché l’8 settembre 1943 la Sicilia è l’unico territorio già liberato dagli Alleati. Questo ha portato ad una sottovalutazione della Sicilia nel processo di Liberazione. Non che figure come Pompeo Colajanni, che liberò Torino, non fossero conosciute, solo che oggi c’è una maggiore sensibilità. Oggi si guarda al fenomeno non tanto sotto il profilo individuale ma sotto quello quantitativo. Siamo in un periodo in cui viene alla ribalta un rivendicazionismo, perdoni il termine, piagnone del Mezzogiorno. L’obiettivo è dimostrare che il contributo in generale del Sud e in particolare della Sicilia c’è stato ed è stato determinante“.

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