Se la storia avesse un colore, per Salvatore Gattuso sarebbe quello blu del mare, del suo mare, quello in cui è cresciuto. Perché da quella baia incantevole immersa nel verde, l’uomo, classe 1931, ha visto passare davanti a sé non soltanto tutta la sua vita, ma quella dell’Italia intera, nel secolo breve dopo il quale nulla sarebbe stato più lo stesso.

L’INTUIZIONE

Poco ha di comune la parabola di questa famiglia che è la parabola di un’impresa, sicilianissima d’origine, adriatica di ispirazione. Il capostipite dei Gattuso, originario di Santa Flavia, la cittadina vicina a Bagheria, era finanziere a Grado e nella località triestina, scoprì la potenzialità del turismo balneare, allora impensabile in Sicilia. L’aristocrazia e la borghesia nell’isola stavano scoprendo da poco la passione per il mare, mentre i ceti popolari lo consideravano un posto di lavoro, per le attività correlate alla pesca.

GLI INIZI

Da Grado, Gattuso senior tornò in Sicilia. Nel 1931  videro la luce suo figlio Salvatore e la sua impresa, fra Santa Flavia e Casteldaccia, in un meraviglioso e tranquillo tratto di costa, noto per essere stato per secoli un approdo naturale tanto da essere indicato nelle carte nautiche spagnole come porto. “Abitavamo in un capanno sul mare” racconta Salvatore – io, papà e due cagnolini. A poco a poco lui che era un abile carpentiere, costruì una casa con una terrazza sul mare e lì avviammo una trattoria”. Gli inizi non furono dei più semplici per la famiglia Gattuso che si trovò a contrastare le ire di chi rubava la sabbia dalle spiagge per utilizzarla nelle attività edili. Ma caparbi e tenaci, se ne infischiarono di dare fastidio e rimasero in quella che era ormai a tutti gli effetti casa loro.

LA TRATTORIA

Diedero vita a quello che era il primo stabilimento della costa da Bagheria a Termini Imerese, un lido con 20 capanne in tutto e quei tavoli della trattoria in terrazza, con Salvatore e i suoi fratelli come camerieri e la mamma come cuoca. Le prime capanne, rigorosamente su palafitte, erano in linea con le esigenze di pudore del tempo. Era l’epoca delle donne avvolte in crinoline e il perizoma non era neanche immaginato come capo di lingerie delle case d’appuntamento allora tanto in voga.

LA BOTOLA DEI DESIDERI

Si faceva il bagno, nello stabilimento della famiglia Gattuso, attraverso una botola che si trovava all’interno delle cabine. “Le donne si immergevano in sottoveste – racconta Gattuso – che per effetto del contatto con l’acqua del mare si alzava lasciando intravedere le nudità. Attorno alle capanne c’era un via vai di ragazzini, che spiavano queste signore, cercando di sbirciare sotto alle palafitte”.

LA GUERRA

Le brutture della guerra arrivarono anche in questo lembo di terra baciato dal sole e dalla natura. Le ristrettezze erano troppe, inimmaginabili nel benessere di oggi. Era stato sequestrato il mulino con il quale si riuscivano appena a sfamare gli abitanti del luogo ed era difficile trovare approvvigionamenti. “Mio padre – racconta Salvatore Gattuso – dava ai soldati del vino e in cambio loro ci davano il grano. Mio papà aveva allestito un mulinello a mano grazie al quale riuscivamo a ottenere il farro che usavamo per la nostra cucina e per attutire i morsi della fame dei nostri compaesani”. La Liberazione se da un lato fu un evento epocale, dall’altro fu la molla per altri orrori come la prostituzione per sopravvivenza, che, come dice Gattuso, era una costante diffusa a quei tempi.

LE INNOVAZIONI

Intanto Salvatore, da bambino diventato uomo, aveva già le sue idee su come modernizzare il loro stabilimento. In un momento di assenza del padre, decise di sperimentare un nuovo modo per montare e quindi poi smontare, le capanne, grazie al quale i tempi per la sistemazione dell’intera struttura si sarebbero dimezzati. “Quando mio padre tornò – dice emozionato l’uomo, anche a distanza di tanti anni – si complimentò con me per l’intuizione che avevo avuto”.

IL VALORE DELLA PAROLA DATA

Salvatore con mente imprenditoriale, pensò di ampliare l’attività, comprando un altro pezzo di terreno adiacente. “Non avevo i soldi per farlo – dice – ma parlai con la proprietaria, una ragazza americana, stabilendo che le avrei versato una prima quota per poi saldare il resto appena possibile”. Erano altri tempi, in cui la parola data aveva il valore di un impegno scritto. Peccato che l’uomo non avesse a disposizione neanche la parte concordata con la proprietaria del terreno. “Chiesi a due carissimi amici di prestarmi 500 mila lire ciascuno per poi restituirli appena possibile” racconta Gattuso, con un luccichio commosso negli occhi, forse nostalgia per quel passato fatto di onore e di dignità.

RITROVO DI NOBILI E INTELLETTUALI

Allo stabilimento erano ospiti fissi Dacia Maraini e Moravia, Guttuso e vari esponenti dell’intellighenzia italiana, dell’aristocrazia bagherese e di quella palermitana. I nobili venivano per la tintarella, per il bagno a mare e per la cucina della trattoria, che era all’insegna della genuinità. Qualche volta si rischiarono gli incidenti diplomatici per le avventure galanti di qualche aristocratico. “Affittammo a un nobile palermitano una barca e vi salì anche una donna, moglie di un altro nobile – racconta Gattuso – si allontanarono per fare l’amore lontano dagli occhi indiscreti. La barca spinta dalla corrente, però, andò a finire proprio sotto alla terrazza dove una tavolata di persone, incluso il consorte tradito, li aspettava per pranzare. Scoppiò un finimondo, perché anche se tutti sapevano della relazione fra i due adulteri, le corna dovevano restare un affare di famiglia”.

IL PIZZO

“Meglio arrossire un giorno che ingiallire per sempre”. Questo fu l’insegnamento che il padre tramandò a Salvatore e lui lo fece proprio tanto da rispondere così a qualche mafioso che provò a chiedergli il pizzo. “Mai una volta abbiamo pagato, mai una lira, mai un euro. Dovevano ammazzarci per vincere, noi abbiamo sempre operato nella legalità al cento per cento” dice fiero Salvatore Gattuso che racconta di come invece spesso una certa burocrazia abbia messo i bastoni fra le ruote.

LA BUROCRAZIA

“Ci fu un periodo di controlli costanti, periodici, sempre nei giorni di maggior affluenza – narra l’uomo – ogni settimana, almeno una volta, tutte le forze dell’ordine a turno venivano nello stabilimento. Non hanno mai trovato una cosa fuori posto, eravamo e siamo maniacalmente attenti al rispetto delle regole”. E questo forse li ha salvati, l’essere integerrimi, tanto da non aver paura di dirlo a testa alta. “Un giorno venne qui un altissimo dirigente della Cassa del Mezzogiorno, insieme alla commissione incaricata delle concessioni di agibilità. Io ero vestito con la divisa dei bagnini lo sentii mentre diceva che noi avevamo rubato soldi pubblici. Mi avvicinai dicendogli che non era vero e quando lui rispose che dovevo stare zitto, gli diedi due ceffoni” racconta Gattuso. Tutti temettero che l’agibilità sarebbe stata negata e invece, proprio perché era tutto in ordine, non poterono che concederla, nonostante l’onta dei due ceffoni al capo della commissione.

LIDO PORTO DI SPAGNA

Negli anni lo stabilimento, che oggi si chiama Lido Porto di Spagna, si è ingrandito, al suo interno ci sono anche alcune villette che è possibile affittare, lo scenario è cambiato, come sono cambiati i clienti. La famiglia possiede anche un altro stabilimento a poca distanza, il Lido La Navicella e e gestire le due strutture adesso ci sono le figlie di Salvatore  e della sua amata moglie, Letizia e Marina, nipoti dell’uomo da cui tutto partì. Quello che è rimasto immutato è la grande suggestione che si respira in questo luogo. Il regista bagherese Giuseppe Tornatore, conoscendo lo stabilimento, pensò di girarvi alcune scene di Baaria, ma gli alti costi di produzione lo indussero a girarle in Tunisia. “Mi chiese alcune cabine e alcune attrezzature – dice Gattuso – io gliele mandai insieme ad alcuni miei collaboratori che le montarono”

IL GRAND BLEU DI SALVATORE

E immutato è rimasto anche l’amore di quest’uomo, di Salvatore, per il mare. Ogni mattina, pur avendo acciacchi dovuti all’età e qualche problema di salute, in bicicletta gira per lo stabilimento e ogni sera, prima di cena, prende un monopattino, da solo e va in giro per la costa. Il suo sogno è sempre stato quello di vivere d’inverno su una barca, ma ha scelto di restare con la sua famiglia sulla terraferma. “Il mare è il mio habitat, io lontano da qui sto male” dice e mentre lo si ascolta, sembra di avere davanti quel bambino di neanche dieci anni che abitava in un capanno sul mare, insieme a suo padre e a due cani. Se Poseidone lo sapesse, di sicuro a Salvatore darebbe un posto accanto a sé nel suo trono intrecciato di coralli, in quel ‘grand bleu‘ in cui l’uomo ha trovato la strada della sua vita.

 

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