Altro che retrogradi. I precursori della famiglia allargata sono i siciliani che in tempi non sospetti hanno esteso il legame di parentela anche al di là dei vincoli di sangue. E solo chi è autoctono riesce a capire le sottili differenze insite negli appellativi di familiarità che vengono rivolti anche a persone conosciute appena.
PARRINO
Ci sono i familiari acquisiti per deferenza, ovvero quelli verso i quali si manifesta rispetto invocando un legame familistico. È il caso di “parrì”, abbreviazione di parrino, (padrino), termine con cui spesso il posteggiatore abusivo si rivolge al cliente abituale. E non si faccia confusione; il gergo non è quello mafioso, ma quello religioso. L’essere figghiozzo di cotanto parrino presuppone un sentimento di stima tale da tradursi nel posteggiare la macchina anche quando neanche si troverebbe spazio per un ago in un pagliaio.
U ZIO
Un gradino sotto, in termini di stima, c’è “zio”. Anche in questo caso, la consanguineità è inesistente mentre il legame è evidente. Può essere zio il vostro fruttivendolo o il vostro macellaio di fiducia, il barbiere che non vi rapa effetto ultimo dei Mohicani. Oppure il meccanico che da quando vi ha truccato la vespa 50 tanto da farla sembrare un Harley Davidson, è meglio di un parente per voi. Però attenzione, l’intonazione fa la differenza, perché lo zio può diventare anche un rompicoglioni, uno al quale sottolineare una forma di parentela per dirgli di togliersi dalle scatole. Perché il siciliano ancora più di altre lingue ha tanti false friends, come si dice in inglese, e non sempre quello che sembra è quello che è.
CUGINI PRO FORMA
Lo stesso vale per l’ever green “cucì”, alias cugino. Chiunque può essere un vostro cugino e come per “zio”, il significato è ambivalente, l’accezione può essere positiva o negativa. Per comprendere con quale spirito il vostro interlocutore vi chiami “cucì”, dovete stare attenti al tono di voce, al contesto, al significato della frase. Se chi vi sta davanti vi dice “cucì, ti rompo le corna”, potete stare certi che il peggio sta per iniziare e che a poco varrà in vostra difesa questa presunta parentela. Se al contrario l’interlocutore dirà “cucì, tuttapposto (rigorosamente attaccato, altrimenti perde d’effetto)”, potrete tirare un sospiro di sollievo, perché a meno di cambiamenti repentini, un legame più forte del sangue vi unirà.
FRATELLI MOLESTI
Certo gli inconvenienti delle famiglie allargate alla siciliana sono tanti. Il rischio concreto è di ritrovarsi come parenti acquisiti perfetti sconosciuti. Alzi la mano chi, appena varcato lo Stretto di Messina, non ha sentito qualche indigeno dire di una terza persona: “Nessun problema, chiddu è me frate (quello è mio fratello)”. Poi, una volta conosciuto di persona il presunto fratello, questo con candore ha ammesso di aver visto una volta e di sfuggita il nostro primo interlocutore che, come è costume fra molti siciliani, ha il brutto vizio di “allargarsi”, ovvero di vantarsi, millantando legami e rapporti inesistenti. Insomma spesso il siciliano dice minchiate e neanche si vergogna quando poi viene colto sul fatto.
PARENTI SERPENTI
Per orientarsi in questa giungla di parenti veri e falsi, serve esperienza, pratica quotidiana e capacità di cogliere le sfumature. Ricordando sempre che in Sicilia, la famiglia, d’origine o acquisita, può essere un “prio” o una “camurria”.
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