Mettendo ordine nel mio archivio cartaceo (preistoria del giornalismo) mi è capitata tra le mani questa vecchia foto in bianco e nero, che mi ha fatto tornare a galla un turbine di ricordi. CORLEONESI CONTRO PERDENTIEra la primavera del 1989. Una primavera caldissima, non tanto dal punto di vista meteorologico quanto per la guerra di mafia che vedeva i corleonesi mietere vittime tra i “perdenti” nel triangolo Villabate-Bagheria- CRONACA NERA CON SANDRO TITOEro stato buttato subito in prima linea a fare cronaca nera con il compianto Sandro Tito. Fino ad allora mi ero occupato quasi esclusivamente di economia, banche, industrie. Di mafiologia, balistica e codice penale ne sapevo poco e niente. Per di più Sandro decise di lasciare il giornale dopo avermi fatto solo una paio di settimane di affiancamento. L’OMICIDIO D’ONUFRIOTraduzione: mi aveva portato con lui in una conferenza stampa e a Ciaculli, dove era stato assassinato Antonio D’Onufrio, presentandomi una mezza dozzina tra ufficiali dei carabinieri e funzionari di polizia. In più mi aveva fatto scrivere due-tre “pezzi d’appoggio”. Scuola di giornalismo d’altri tempi. UNA FIGURA DI M….Ma torniamo alla storia della foto. Pochi giorni prima avevo fatto la più grossa figura di merda della mia carriera. Ero stato mandato, con Michele Naccari, fotografo in grado di superare qualsiasi ostacolo per raggiungere i cadaveri, a Casteldaccia dove era stato ucciso un pezzo da novanta. Mistero su chi fosse. Mentre Naccari faceva il pieno di immagini io, più timido che ardito, nel silenzio irreale della strada deserta mi avvicinai alle transenne presidiate da un corpulento maresciallo dei carabinieri e, facendomi ancora più piccolo di quanto sono, gli bisbigliai: “Chi è il morto?”. IL TIMORE DEL CAZZIATONEAltrettanto sottovoce il sottufficiale mi rispose: “Aspetti”. E io, timoroso ma preoccupato del cazziatone che mi aspettava se non rientravo al più presto in redazione (allora non c’erano smartphone e tablet), mi acquattai lungo il muro in attesa della fatidica notizia. Solo al terzo mio goffo tentativo di sapere chi fosse la vittima il maresciallo, sbottando, quasi mi urlò: “Insomma, è il boss Antonino Aspetti”. TOP SECRET, MA NON PER LE COSCHEIl 18 aprile sotto i colpi dei killer corleonesi era caduto nientemeno che l’anziano capomafia di Bagheria, Antonino Mineo. Tre giorni dopo allo svincolo di Casteldaccia viene rapito Agostino Marino Mannoia, fratello di quello che era già un pentito. Una notizia top secret per i più ma non per le cosche. Il 27 aprile tocca ad Angelo Ficano, figlioccio di Nino Mineo, vittima di un agguato a Bagheria. IL DIKTAT DI CARBONEIn quel clima rovente un pomeriggio arrivo in redazione in anticipo e il portiere mi annuncia che il direttore Bruno Carbone mi aspetta. Strano che mi voglia parlare, mi dico. Entro nella stanza e trovo Carbone e Mario Farinella, caporedattore degli Interni, ma vecchio ed esperto cronista, oltre che poeta e scrittore. “Antonio – esordisce Carbone – domani nella chiesa madre di Bagheria c’è il funerale di Mineo. Devi scrivere un pezzo”. UNA NOTTE D’INFERNOIl “devi” era perentorio, non lasciava spazio ad alcuna replica o rimostranza. Trascorsi una notte d’inferno non avendo la minima idea di cosa fare. Ma decisi che dovevo andarci, solo. Fuori discussione andare con il fotografo o con altri colleghi. Troppi rischi in quel periodo e nessuna troupe televisiva si sognava di fare il servizio. Oggi ci sarebbero state quelle di “Uno Mattina”, “Mattino Cinque”. “Cronaca in diretta” e decine di altre. LA CRAVATTA DI MIO PADRECosì la mattina indossai un vestito scuro, giacca blu e pantaloni grigi, passai da casa di mio padre per prendere in prestito una cravatta nera e arrivai in macchina a Bagheria. Lasciai il mezzo a un chilometro dalla chiesa e mi diressi, a passo deciso ma con espressione compunta, verso la chiesta madre. LA FINTA COMMOZIONEMi mescolai tra i fedeli, nelle ultime file, partecipando con finta commozione alle esequie, ovviamente senza potere prendere appunti. Più terrorizzato che soddisfatto tornai in redazione per scrivere il pezzo e, appena arrivato, chiesi la misura e, soprattutto, che foto mettere. Alla prima domanda il capo cronista Giuseppe Crapanzano sparò “90 righe e subito”. LA RISPOSTA DI NACCARIAlla seconda rispose Franco Lannino gettando con la sua solita grazia un mazzo di foto sulla mia scrivania. Una però me la mise in mano, quella che vedete. Mi spiegò che era rimasto appostato per ore con i carabinieri dentro un negozio della piazza che aveva una finestra con il vetro a specchio e da lì aveva fotografato l’arrivo della bara. La mia foto, invece, l’avevano scattata i carabinieri che stavano schedando tutti i presenti. LA FOTO RICORDOAl mio arrivo un sottufficiale aveva chiesto ai colleghi “Ma cu minchia è chistu?”. Subito accontentato da Michele che gli aveva rivelato la mia identità. “Talè, portaci la fotografia come ricordo ma stampala al contrario per non fare capire da dove è stata scattata” precisò il militare. Per la cronaca: poco più di un anno dopo il titolare del negozio venne trovato cadavere in fondo a un pozzo, con un proiettile in testa. GLI STRANI COMPLIMENTI DI FARINELLAFui l’unico a scrivere che “probabilmente si è trattato di una vendetta delle cosche contro un informatore dei carabinieri”. Cosa che fece incazzare molto l’Arma. Concludendo questa storiella, il giorno dopo l’uscita dell’articolo sul funerale Mario Farinella mi fece i complimenti aggiungendo “è piaciuto anche dall’altra parte”. Una frase sibillina che non ho mai dimenticato.
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