Era un sognatore capace di emozionarsi per piccole cose. E dire che i suoi occhi avevano visto di tutto, perché in 85 anni di vita Aldo Mausner aveva avuto travagli e difficoltà tali da riempire tre o quattro esistenze. Ma neanche la follia nazifascista e l’orrore della seconda guerra mondiale avevano intaccato l’animo bello di quest’uomo che ieri è morto.
IL NAZIFASCISMO
Per decenni la storia di Aldo Mausner è stata ignorata in una città come Palermo e in una terra come la Sicilia che troppo frettolosamente hanno voltato pagina sulle responsabilità e sulle atrocità commesse dai conterranei negli anni bui del nazifascismo. Anche in questa terra gli ebrei sono stati perseguitati, alcuni sono stati deportati e non sono mai più tornati a casa. Però se ne parla poco perché i numeri sono meno rilevanti che in altre parti d’Italia e anche perché con la memoria il siciliano spesso fa i conti con un grande ritardo.
FIGLIO DELLA LUPA
Aldo nato nel ‘34 un bambino come tanti nella Palermo del ventennio. Era un “Figlio della Lupa” come tanti suoi coetanei,”ero fiero della mia divisa – diceva – ancora non capivo cosa significasse, era solo bel gioco allora”. Una spada pendeva sulla famiglia di Aldo. I suoi genitori erano ebrei nati in Polonia e si erano rifugiati a Vienna.
COLPEVOLI DI ESSERE EBREI
Il padre venne assunto in una ditta che importava agrumi dalla Sicilia e insieme alla moglie si trasferì a Palermo. Entrambi si convertirono al cattolicesimo tanto da far battezzare il figlio nella cattedrale di Palermo. “Ricordalo sempre, mi diceva mio padre – raccontava Mausner – dì a tutti che sei cattolico. Non capivo il motivo di quest’insistenza ma di lì a poco lo avrei scoperto”.
L’ARRESTO
La loro famiglia infatti era colpevole di essere di origini ebraiche, perché questa macchia secondo il Fuhrer si estendeva sino alla settima generazione.Il papà Federico fu arrestato dai Carabinieri, portato all’Ucciardone e poi in provincia di Salerno in un campo di concentramento. Aldo aveva solo sei anni e incredulo assistette all’arresto del padre. “Non era un delinquente – diceva – ma lo trattarono come se lo fosse”.
L’INTERNAMENTO
Grazie alla duchessa dell’Arenella che abitava a Villa Niscemi, la moglie riuscì a ottenere che l’uomo fosse trasferito in una località lontana dal luogo di residenza. Le opzioni infatti erano il campo di concentramento e l’internamento. Per i Mausner si spalancarono le porte di una nuova esistenza iniziata a Santa Vittoria in Matenano nelle Marche, dove sino al 1943 vissero in tranquillità.
LA FUGA
Con la nascita della Repubblica di Salò, si inasprirono le persecuzioni contro gli zingari, gli omosessuali, gli ebrei e i reduci. I carabinieri arrestarono nuovamente il padre di Aldo e lo portarono al campo di Servigliano. In una scena degna di un film di guerra, il padre di Aldo grazie all’aiuto di altri due prigionieri riuscì a scappare dal campo di concentramento. Al primo appello del mattino la fuga sarebbe stata notata e i soldati avrebbero catturato anche la famiglia. Non restava che nascondersi.
CACCIATI E PERSEGUITATI
Il padre intanto si era rifugiato in un convento grazie a un frate che lo protesse. La famiglia si riunì e si nascose in una casa di campagna, ma il proprietario ogni giorno manifestava sempre più malcontento, spaventato dalle ritorsioni che colpivano chi ospitava i rifugiati. “Un giorno – raccontava Mausner – ci cacciò e io e mia mamma ci mettemmo alla ricerca di un posto dove andare. Camminammo tutto il giorno sino a sera in mezzo alla neve e lei, povera donna, era stremata. A un certo punto si accasciò e fui io a incitarla a proseguire, io che ero solo un bambino”.
LA SALVEZZA
La salvezza per i Mausner fu quella di trovare Antonio Papiri un uomo di un Comune vicino Montelfacone che li aiutò ricambiando l’ipotetico aiuto che qualcun altro stava dando al figlio in guerra, di cui da tempo non aveva notizie. L’uomo mise a disposizione della famiglia una casa diroccata ma poi li mandò via perché i rastrellamenti sono sempre più pressanti.
IL CAPANNO NEL BOSCO
I Mausner andarono a vivere in un capanno degli attrezzi in mezzo al bosco, in una zona protetta dai partigiani. C’erano solo sacchi di paglia, un tetto pericolante tanto da pioverci dentro. E al piccolo Aldo toccò diventare grande di colpo, perché era l’unico in famiglia a poter girare liberamente per trovare un po’ di cibo. “Ero diventato il capofamiglia – diceva – ero solo un bambino e sfamavo la mia famiglia, sperando che qualcuno ci regalasse ogni giorno qualcosa da mangiare”. A un certo punto i Mausner sentirono cessare gli spari, per qualche giorno i rumori della guerra cessarono e furono sostituiti da quelli di Jeep. Era la Liberazione.
LA LIBERAZIONE
“Tutti cantavano, tutti erano felici, c’era un clima generale di festa” raccontava Mausner sottolineando come per la sua famiglia fosse anche il momento di riappropriarsi dell’orgoglio di un cognome. “Per anni mi era stato raccomandato dai miei genitori – diceva l’uomo – di non rivelare mai come mi chiamassi, per non fare capire le nostre origini. Ora potevo urlarlo, non dovevo più vergognarmi di chi ero”. I Mausner tornarono a Palermo.
IL RITORNO
“Era la mia città – diceva Aldo – ho sempre abitato qui”. Sin da bambino l’uomo aveva una passione e una propensione naturale per la musica, che divenne il suo lavoro. Per anni infatti ha fatto parte dell’orchestra del teatro Massimo, essendo un violinista di ottimo livello.
IL TEATRO MASSIMO
E anche dopo la pensione ha continuato a suonare, perché – diceva – la bellezza salverà il mondo dall’orrore. Spesso citava Goethe: “Là dove senti cantare – e suonare – lì ti puoi fermare, poiché la gente malvagia non conosce melodie”. E mentre lo diceva, Aldo Mausner si emozionava, gli occhi brillavano e rivedevi quel bambino, vittima innocente, delle più assurde follie che l’uomo abbia mai concepito. Buon viaggio maestro.
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