Per il grande pubblico è la tenera e romantica zia Lucia di “Andiamo a quel paese” di Ficarra e Picone. Ma pochi sanno che lei, Lily Tirrinanzi, all’anagrafe Luisa Tirinnanzi, è una delle più importanti doppiatrici italiane e una presenza storica sui palcoscenici dei teatri del Bel Paese.
Una carriera lunga e variegata la sua, dal teatro al grande schermo passando per le sale di doppiaggio. Come ha iniziato?
“La storia comincia da lontano, da Alessandria d’Egitto dove sono nata nel ’38. Mio padre era di origine italiana e per questo in Egitto, allora sotto la dominazione inglese, avrebbe rischiato di essere rinchiuso in un campo di concentramento. Con mia madre decisero di rifugiarsi in Italia, dove non avevano un parente, non conoscevano nessuno. Arrivammo nel ’40, io avevo solo due anni e subito scoppiò la guerra. Girovagammo su e giù per la penisola, scappando da un paese all’altro e alla fine arrivammo a Firenze. Mia madre era appassionata di arte, mi fece visitare tantissimi musei e moltissime chiese convinta, a ragione, che le più belle rappresentazioni artistiche si trovassero lì. Fu lei a spingermi nel mondo dello spettacolo, facendomi fare il provino per l’accademia Silvio D’Amico. Nel 1950 entrai in accademia, iniziai a calcare le scene e da allora non ho mai smesso”.
Qual è stato il suo esordio?
“Sono stata sempre lontana dalle logiche del branco che, purtroppo, nel mondo dello spettacolo fanno la differenza. Non ho mai avuto padrini né sponsor, ma l’unico mio biglietto da visita è sempre stato il mio lavoro. All’Accademia eravamo 9 donne soltanto e io mi ritrovai a essere selezionata per due ruoli da protagonista nei saggi. Alla fine di una delle due rappresentazioni, si avvicinò un signore che mi invitò a un provino per la Rai. Mi selezionarono per la Compagnia di prosa Radio Firenze, allora di caratura nazionale e lì restai per un anno come attrice giovane. Poi sostenni un provino per la compagnia nazionale doppiatori, dove lavoravano alcuni nomi di rilievo assoluto come Valeria Valeri per citarne una, e lì sono rimasta 15 anni. In mezzo c’è stato tantissimo teatro, dalla compagnia di Diego Fabbri alla Borbone, alla compagnia dello Stabile di Catania, all’Inda, a Eduardo De Filippo”
Come arrivò a recitare accanto al Maestro del teatro italiano?
“Cercavano la lucertolina del ‘Figlio di Pulcinella’. Era la prima volta che andava in scena e per la parte era stata scelta Ilaria Occhini che poi rinunciò per un ruolo cinematografico. L’uomo che mi aveva selezionato per il provino in Rai, mi incitò a provare. Era il ’62, ero appena uscita dall’Accademia. Andai a Napoli, sostenni il provino e alla fine Eduardo mi chiese come avessi fatto a sapere prima come la volesse. Risposi che l’avevo immaginata così, fui scelta per la parte e rimasi con lui due anni per varie opere. Poi andai nella compagnia di Diego Fabbri e allo Stabile di Catania”
Una presenza fissa sui palcoscenici teatrali ma meno sul grande schermo. Come mai?
“Mi fece la stessa domanda il regista Dino Risi col quale avevo lavorato. Gli risposi che era semplicemente perché non mi chiamavano. Allora mi invitò ad andare a trovarlo per un nuovo film. Ci andai con mio marito, Claudio De Davide, un ragazzo all’ingresso ci disse di sederci ad attendere insieme a tantissime altre persone che erano lì per lo stesso motivo. Senza esitazione io e Claudio ci siamo guardati in faccia, chiedendoci cosa facessimo lì, abbiamo voltato le spalle e siamo andati via. Non ho mai avuto un agente se non in tempi recenti, io e Claudio siamo stati sempre lontani dagli inciuci di questo mondo. Ho lavorato nel mondo del cinema da un’altra prospettiva, in sala di doppiaggio, con registi del calibro di Fellini, Visconti, Pontecorvo. Ho doppiato la Bardot e la Bosè, che aveva perso la testa per Dominguin al punto da scappare in Spagna lasciando un film a metà. Io diedi la mia voce a questo film, che altrimenti sarebbe rimasto incompiuto per una passione bruciante”.
La sua è anche una voce radiofonica
“Erano allora tempi in cui la radio era uno strumento di cultura essenziale. Ricordo ancora un bellissimo esperimento come Noi due come tanti altri. Vita semplice di due attori sconosciuti, però piena d’amore. Ma che schifo, un serial di 23 puntate per Radio Uno al quale invitammo tutto il mondo dello spettacolo italiano. Era un altro mondo quello. E noi ci siamo sempre tenuti lontani dalle lobby”.
Suo marito è una presenza costante nella narrazione della sua carriera
“Ci siamo conosciuti recitando ne “Le nuvole” di Aristofane per l’Inda. È stato ed è un grande amore che dura da 51 anni e che ci ha visto uniti nella vita privata e in quella professionale. Insieme abbiamo girato tutti i teatri italiani, accompagnati dai miei genitori che accudivano i nostri figli, Alberto e Claudia (uno oggi architetto, l’altra archeologa). A un certo punto mia madre ha detto ‘basta’ quando Claudia era in età scolastica e ci siamo stabiliti a Roma, fondando la nostra società di doppiaggio che è stata in piena attività sino a qualche anno fa, quando nauseati da logiche di potere, abbiamo chiuso. Avevamo vinto una gara al massimo ribasso, pensando di riuscire a restare nei costi rinunciando quasi alle nostre paghe, dato che avremmo fatto gli adattamenti e la direzione. Invece ci imposero tutto per far lavorare i soliti raccomandati, pur costringendoci a rispettare tempi strettissimi. Il risultato fu che noi per consegnare un lavoro all’altezza di quello che avevamo sempre fatto, ci siamo quasi ammalati. A me è venuta la psoriasi e Claudio è dimagrito 20 Kg. Non ne valeva la pena, è un mondo che non ha speranze. L’arte è morta in questo Paese. Si salvano pochissime persone, come per esempio Pierfrancesco Favino che è il più bravo di tutti”.
La fama al cinema è arrivata tardi con “Andiamo a quel paese” di Ficarra e Picone
“Come sempre nella mia carriera, è capitato tutto per caso. Alcuni anni fa io e Claudio a Fregene incontrammo un vecchio amico che ci disse di essere diventato agente e ci chiese la cortesia di poterci rappresentare. Noi che mai ne avevamo avuto uno, più per cortesia che per altro, abbiamo accettato. Da allora abbiamo fatto vari provini, sino a che nel 2014 non ci siamo ritrovati entrambi con ruoli da protagonisti in film selezionati per importanti festival. Io ero sul tappeto rosso a Roma per “Andiamo a quel paese” e Claudio era a Venezia per “Il Leone di vetro”. Con Ficarra e Picone è stata un’esperienza bellissima, loro sono bravissimi e meritano il grande successo che hanno avuto. Eppure la grande notorietà l’ho avuta prima che col film con uno spot”.
Quale?
“Ero una delle protagoniste dello spot della nuova ‘500, in occasione del restyling della macchina simbolo dell’Italia. Tale è stata l’eco di questo spot che alcuni anni fa, mentre mi trovavo al teatro Quirino di Roma per uno spettacolo, dalla platea un signore si è alzato per venirmi incontro e farmi i complimenti. Pensavo fosse per il film di Ficarra e Picone, invece era per lo spot della ‘500. Miracoli della Tv. Certo, se solo fossero migliori i programmi che vengono trasmessi, forse sarebbe migliore in generale lo stato dell’Italia. Invece oggi è tutto un vomitare pettegolezzi e bassezze da cortili. E io che ho avuto il privilegio di lavorare con un uomo meraviglioso come Arnoldo Foà, non mi rassegno a questa pochezza. Meglio prima, quel passato che chissà, forse non tornerà mai più”.
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