Una foto scattata nell’estate del 2009 al porto di San Nicola l’Arena dove Antonio Fiano, un ufficiale dei Carabinieri a cui ero legato da un antico legame di amicizia, teneva la sua barca a vela. Eravamo usciti all’alba per fare un giro, assaporare una giornata di sole e ripassare vent’anni di amicizia.
AI TEMPI DE L’ORA
Antonio l’avevo conosciuto nella primavera del 1989. Io giovane cronista di nera a L’Ora, ancora inesperto ma entusiasta del mio lavoro. Lui da poco promosso capitano, al comando della compagnia Carabinieri di piazza Verdi in un periodo “caldo” di guerra di mafia. Un uomo apparentemente modesto e poco incline alle manie di protagonismo ma un vero leader e un grande investigatore per chi lo conosceva bene.
LE FONTI SUL CAMPO
Dopo qualche incontro formale in occasione delle solite conferenze stampa tra noi scattò una naturale simpatia fondata sulla reciproca stima. Non erano tempi di uffici stampa, comunicati via whatsapp e videoconferenze. Le fonti vere te le facevi sul campo, consumando benzina, scarpe, taccuini e penne. E rischiando la gastrite per l’eccessivo consumo di caffè. I contatti ufficiali, quelli tra la tua testata e le fonti istituzionali (polizia, carabinieri, guardia di finanza, vigili urbani, vigili del fuoco, polizia penitenziaria), passavano dai centralini e dalle portinerie.
GLI SCOOP NON HANNO ORARI
Quelli veri, le fonti che ti passavano le notizie, gli scoop, erano fatti di incontri, chiacchierate, passeggiate, scambi di auguri, qualche volta di piccoli favori, e di tanti ma tanti caffè. Gli orari di lavoro e perfino i giorni di “corta” erano solo scritti sul contratto di lavoro. Arresti o delitti permettendo (le rapine erano già notizie di secondo piano), le notizie si andavano a cercare facendo il giro di caserme e commissariati. Anche quando eri libero, con buona pace di fidanzate e mogli.
PRIMA TI FIUTAVANO
Oppure te le dava una “fonte” la cui fiducia dovevi guadagnarti. Perché nessuno, carabiniere o poliziotto, era disposto a dartela se prima non ti aveva “fiutato”, non ti aveva guardato negli occhi. Solo dopo potevi concederti il lusso di una telefonata, tipo: “Oggi ho il taccuino bianco, mi serve una notizia”.
IL BLITZ ALLA BANDITA
Rapporti confidenziali che ti consentivano imprese oggi impensabili. Come quella volta che nel primo pomeriggio incontrai in questura due funzionari di polizia con cui avevo bevuto più di un caffè e mangiato più di una pizza. Stavano andando a fare rapporto sulla cattura di un latitante che si nascondeva in una villa, sul lungomare della Bandita, blindata e circondata da mura altissime.
I FINTI PESCATORI
L’arresto era già sfumato un paio di volte perché il ricercato riusciva a defilarsi uscendo da un passaggio segreto e fuggendo via mare con una barca che teneva sempre pronta. Così, questa volta, gli investigatori avevano fatto uscire alle prime luci dell’alba una barca di finti pescatori, in realtà agenti armati fino ai denti, che si erano messi effettivamente a pescare al largo della villa per non dare nell’occhio.
IL COLPACCIO
E l’operazione era riuscita. Una notizia ghiotta ma era già tardi per scriverla sul giornale, che usciva ancora il pomeriggio. Decisi di tentare il colpaccio, chiedendo ai due di rinviare al mattino successivo la diffusione della notizia. Detto fatto: alla fine del colloquio dissero al capo che sarebbe stato opportuno non pubblicizzare l’arresto perché c’erano ancora perquisizioni in corso nella villa. Con buona pace dei colleghi, la notizia usci in anteprima su L’Ora.
FIDUCIA RECIPROCA
Con Antonio Fiano si era instaurato un rapporto di reciproca stima che andava oltre. Ci siamo frequentati fuori dal lavoro, abbiamo cenato insieme, è stato mio ospite, le nostre compagne si conoscevano. La fiducia era reciproca e quando mi chiedeva di non pubblicare una notizia, per me era un dovere. Ma a lui devo molti begli articoli e diversi scoop.
POMPE FUNEBRI E VOTI
Come quelle volta che mi chiamò in piena notte raccontandomi che poche ore prima gli uomini della squadra mobile avevano fatto un blitz nell’ufficio di Enzo Castagna, impresario di pompe funebri che per trent’anni è stato l’unico organizzatore di comparse cinematografiche a Palermo, oltre che animatore di feste di piazza con i principali cantanti neomelodici. Gli agenti avevano trovato un tabellone con i nomi delle comparse e, accanto ad ognuno, l’elenco dei familiari che avevano diritto al voto, oltre ad un malloppo di fotocopie dei certificati elettorali.
IL CAFFE’ DI LA BARBERA
Era il maggio del 1990: di lì a qualche giorno ci sarebbero state le elezioni comunali e la notizia, ovviamente, doveva rimanere segreta. Con buona pace del capo della squadra mobile, Arnaldo La Barbera, il giornale la sparò in prima pagina. Così mi dovetti sorbire la signorile telefonata del funzionario che, con la sua voce roca ma tagliente, mi urlò: “Di Giovanni, chi cazzo te l’ha data questa notizia”. E io: “Dottore La Barbera, l’ho sentita per caso al Marocco (il bar vicino alla Questura prima frequentato solo dagli “sbirri”, ora anche dai turisti) mentre prendevo il caffè”.
LA CASERMA DI PONTE SALARIO
Dopo gli anni de L’Ora con Antonio ci siamo visti spesso. Lui era stato prima trasferito al Roma, promosso maggiore, con un incarico di responsabilità nel neo costituito Raggruppamento operativo speciale. Nel 1992 fui suo ospite nella mensa della caserma di via di Ponte Salario mentre mi trovavo nella capitale per seguire le vicende sindacali legate alla crisi, e poi alla chiusura, del quotidiano.
IL RUM DELL’ULTIMA VOLTA
Ci siamo incontrati a Reggio Calabria, dove col grado di colonnello era stato spedito a fare la guerra alle ‘ndrine nella veste di comandante provinciale fino al 2007. Lo rividi l’anno successivo a Palermo, dove era stato prima capo di Stato maggiore alla Legione e poi all’Aisi. Ci siano persi di vista nel 2010 quando ho iniziato a lavorare al quotidiano Libertà di Piacenza e proprio mentre ero in Emilia Romagna, nell’autunno del 2011, lessi per caso che Antonio se n’era andato a 57 anni, stroncato in pochi mesi da un male incurabile. Ho pianto come mi è capitato in poche altre occasioni. E conservo ancora gelosamente quel che resta di una bottiglia di rum che mi regalò l’ultima volta che venne a cena a casa mia.
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