Noi che vendevamo i libri di seconda mano
Andavamo a vendere libri. E, per dieci giorni, diventavamo tutti imprenditori in proprio. Ci ritrovavamo “al Municipio” (mica a piazza Unione Europea, come si chiama oggi) e dal primo pomeriggio a sera, durante i primi giorni di scuola, i nostri (ex) libri vivevano la loro seconda vita nelle mani di altri primini o di ragazzi comunque piu’ piccoli a cui (nonostante il loro sguardo rispettoso) glieli vendevamo a metà prezzo.
Anzi, meno…”costerebbe dodicimila lire…dammene dieci e siamo a posto”. Biologia, filosofia, storia, geografia, inglese, dizionari, atlanti: in quella piazza c’erano il mondo e millenni di storia. Tutto a metà prezzo. Proponevamo le sudate pagine (stra)usate di “libri quasi nuovi”.
Anzi, no talmente vissuti da essere stati sottolineati, disegnati, scritti, macchiati, strappati e che erano comunque già di seconda, terza, quarta mano. Oltre a seni e coseni, guerre e armistizi, batteri e corpi stellari c’erano pezzi della nostra vita vissuta. Dichiarazioni, sfoghi, margherite, cuori, prismi un numero imprecisato di autografi manco fossimo divi di Hollywood in gita sullo Stretto (o forse, speravamo un giorno di diventarlo).
Oggi a Messina, al Municipio c’è un vuoto di persone e idee difficilmente colmabile. Nessuno scambia o compra e con l’algido utilizzo degli e-book sono scomparsi i baby venditori. Un mestiere breve il loro che, in poco piu’ d’una settimana, riuscivano a racimolare i piccioli che sarebbero stati spesi (nell’ordine) per aggiustare Ciao e Vespe, comprare jeans Wrangler-Levi’s, trucchi (le femmine), Lp (i maschi) e sigarette (ambo i sessi). Giornalai mancati, librai in pectore: eravamo quelli che amavamo i libri. E che li vendevamo.
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