Sotto i portici, in fondo a Via Mariano Stabile, dove il marciapiede diventa inutilmente una piazza, c’era sempre un odore agro, rugginoso, criptico. Era il soffio di una tipografia che ormai non c’è più. Lì si faceva, attaccando sulle pagine parole e foto con una colla che era l’odore di quel pezzetto di città, un giornale che ormai non c’è più.
UNA STORIA DI QUASI UN SECOLO
La parabola de “L’Ora” (che i palermitani per tutta la sua vita si sono ostinati a chiamare “U L’Ora”) durò 92 anni.
Fu un’epopea più che una storia. Che accompagnò, attraversò ed inseminò il cammino di una Sicilia piagata dalle ingiustizie frutto di una modernità incompiuta e distorta e prostrata dal fallimento di ogni tentativo di cambiamento.
UNA FABBRICA DI NOTIZIE
“L’Ora” fu una inesorabile fabbrica di notizie; un laboratorio di idee, un presidio di libertà, di democrazia e di pluralismo; un luogo di meticciato, di frontiere da violare, di ponti da costruire.
Era un giornale schierato. E’ vero che per tanti anni l’editore di riferimento fu il Pci. Ma è pur vero che il giornale fu sempre autonomo rispetto alle liturgie e alle logiche di quel partito (con grande scorno di capi e capetti locali).
IL GIORNALE CHE ROMPEVA LE SCATOLE
Ed è ancora vero che fu sempre aperto a quelle forze di rottura e di cambiamento che si facevano strada dentro gli altri partiti, nella Dc, nel mondo cattolico, nella società civile.
Era però comunque il “giornale dei comunisti” e quindi la fatica per farsi accettare era doppia o tripla. Intanto perché i comunisti simpatici non sono mai stati, ma principalmente perché “L’Ora” in Sicilia rompeva fragorosamente le scatole ai mafiosi, ai politici collusi, ai fascisti e ai comitati d’affari. Che reagivano.
IL TRIBUTO DI SANGUE
Forse nessun altro quotidiano in Europa ha pagato un tributo di sangue paragonabile a quello pagato da questo piccolo-grande giornale che da Palermo riusciva a parlare all’Italia intera. Cosimo Cristina, che con i suoi articoli illuminava gli affari e le trame della mafia di Caccamo; Giovanni Spampinato, che a Ragusa indagava sull’uccisione dell’imprenditore Angelo Tumino; Mauro De Mauro, che si era affacciato con quarant’anni di anticipo su quel verminaio brulicante di Servizi deviati, mafia, eversione nera, imprenditoria collusa.
INTELLETTUALI E POLITICI
In quegli anni, il palazzetto in fondo a via Mariano Stabile, era un porto di mare: politici, scrittori, pittori. Vittorini e Pasolini, Danilo Dolci e Francesco Rosi, Togliatti e Berlinguer, Carlo Levi e Bruno Caruso, Sellerio, Visconti e Consolo, che fa il cronista proprio a “L’ Ora” mentre va scrivendo “Il sorriso dell’ignoto marinaio”…
UNA GRANDE BOTTEGA ARTIGIANA
E Vittorio Nisticò, dittatore e democratico, assorto e irascibile, nella sua stanza-fortino sommersa dalle scartoffie…
“L’Ora” è stato un collettivo straordinario e poliedrico, una bottega artigiana, infinitamente più povera e meno strutturata rispetto al quotidiano del mattino diretto concorrente. “Un grande casino organizzato”, come ricorda con malinconia qualcuno di quelli che erano lì a fare l’impresa.
NON VINSE LA MAFIA
Ma è stato soprattutto una scuola per generazioni di giornalisti, i migliori, che dopo avrebbero lavorato per le più grandi e prestigiose testate nazionali. A decretarne la fine non è stata la mafia, ma il dilettantismo, l’impreparazione e la sprovvedutezza dell’ultima proprietà.
VENDESI ARCHIVIO
Il palazzetto in fondo Via Mariano Stabile passò di mano; venne venduta la rotativa (che è andata a finire – ironia della storia – a Leningrado); si tentò di vendere anche l’archivio cartaceo (92 anni di storia), tramite un annuncio che era un capolavoro di ignavia, negligenza, insipienza: “Vendesi archivio giornale quotidiano”. Scrissero proprio così: “Vendesi archivio giornale quotidiano…”
L’archivio, miracolosamente sfuggito all’attenzione di qualche pescivendolo a corto di fogli in cui avvolgere sparagghiuna e manciaracina, fu infine acquisito dalla Regione siciliana. Almeno questo…
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