L’Ora e la prima lezione di giornalismo: “Tanto sono turchi…”
Ho messo piede nella redazione del giornale L’Ora di piazzetta Napoli per la prima volta nel 1984. Avevo cominciato a collaborare da poco con le neonate pagine di economia quando mi fu affidato il primo incarico prestigioso, almeno così sembrò ad un biondino entusiasta com’ero io a 23 anni.
Si trattava di presidiare per qualche ora, la mattina, la stanzetta al primo piano dove c’erano le telescriventi. Non c’erano ancora i computer. Si scriveva su pesanti macchine da scrivere Olimpia e i menabò si disegnavano a mano. A me toccava inseguire il rotolo di lanci di agenzia che venivano vomitati continuamente dalle macchine, tagliarle una per una con uno strappo secco, leggere sempre al volo i titoli e dividerle per argomento nelle cassette in legno appese alla parete.
A distribuirle ai vari capi servizio ci pensavano i fattorini. Ma se veniva battuta una notizia importante bisognava consegnarla di corsa personalmente. Quello che pensai una mattina leggendo dell’incidente in una miniera della Turchia dove avevano perso la vita una dozzina di uomini. Eravamo a ridosso della chiusura dell’edizione pomeridiana.
Così afferrai il prezioso foglietto e mi precipitai nella stanza di Aldo Costa, responsabile degli Interni-esteri. Il quale, alla mia eccitata descrizione della tragedia rispose, senza nemmeno distogliere lo sguardo dal menabò che stava disegnando, che non era una gran notizia, chiosando: “Tanto sono turchi”.
Più scioccato che contrariato tornai al mio lavoro. Ma solo molti anni dopo capii la lezione: il L’Ora puntava sulla cronaca locale. Le notizie diverse passavano solo se di grande rilievo nazionale o internazionale. O se in qualche modo interessavano la Sicilia.
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