Dopo una formazione all’insegna del blues, accanto ai nomi più importanti della scena musicale dei primi anni 60 in una Londra vero crogiuolo di stili, proposte, esperimenti, Rod Stewart entra dalla porta principale nel mondo della musica rock a fine anni 60.

DA BECK AI FACES

Nel gruppo di Jeff Beck si fa apprezzare per la voce rugosa, modellata da whisky e sigarette e per la capacità di fondere blues e rock come pochi altri. Esaurita questa esperienza, entra nei Faces dove affina la tecnica compositiva, contribuendo in modo significativo a tutti gli album del gruppo scrivendone i brani più belli. Durante la militanza con i Faces sforna un paio di lavori da solista in cui fra cover ben riuscite e brani originali si fa apprezzare come uno dei cantanti più interessanti dell’epoca.

OGNI QUADRO RACCONTA…

Ma è con il suo terzo album, Every Picture Tells A Story, che Rod Stewart piazza il capolavoro scrivendo il proprio nome nell’Olimpo della musica. Dieci brani dai sapori screziati, dove blues, rock, folk e ballate pop si fondono in un impasto ben amalgamato e convincente. Maggie May lo renderà famoso, ma io trovo Mandolin Wind la canzone più riuscita.

UNA STORIA TRISTE

Ottima l’esecuzione strumentale, con un arrangiamento dal gusto tradizionale eppure innovativo, in cui violino, chitarra acustica, steel guitar e, soprattutto, mandolino rimandano a ballate rurali dai sapori antichi. La voce di Rod, fatta di carta vetrata, completa il quadro. Dopo aver raggiunto l’apice, purtroppo, Rod si andrà via via perdendo, gettandosi album dopo album nelle spire appiccicose di un easy listening sempre più povero di idee ma ricco di ritorni economici. Insomma, una triste storia già vista mille altre volte…

Playlist: Mandolin Wind – Rod Stewart