L’acca è muta. Così intonò, senza mezzi termini, quell’irriguardosa della mia maestra. La disegnò con estrema attenzione. La mano serrata al gessetto ridefinì i tratti. Gonfiati a dismisura.
UN TEMPO ASSASSINO
Per poi esibirsi, con tutto un repertorio di gesta e suoni, a dimostrarne il mutismo. Saltellando avanti e indietro come un avvocato pazzo in un aula di tribunale. Aprendo e chiudendo convulsamente le labbra. Trattenendo il fiato per un tempo assassino.
IMMOBILE E NUDA
L’acca muta rimase immobile e nuda. L’impietosa lavagna ne tracciava il profilo. Per aver voce doveva accompagnarsi. Necessariamente. Sola e contrita. Come cavia. In attesa di servire. Mi sembrò terribile. Si era fatta fregare da grafemi astuti e prepotenti. Il mondo mi apparve improvvisamente buio.
LACRIME DI DIFESA
Provai tanta di quella pietà, che decisi di sposarne l’intera causa. Per porre termine a quel massacro inscenai un pianto in piena regola. Cosicché la maestra fu costretta a lasciare in pace l’acca muta per occuparsi delle mie lacrime. Sorde e moltiplicate. Mai difesa fu più estenuante. Resistetti implacabile. Fino al suono di quella benedetta campanella. Che mi arrivò come una stretta di mano. Puntuale e gentile.