Quanti saranno i momenti indimenticabili nella vita di ciascuno di noi? Diciamo una dozzina, ma solo perché dieci sembrano oggettivamente pochi. Un patrimonio di flashback peraltro non immutabile, perché se il numero quello deve essere, man mano che si sommano gli anni si procede alle sostituzioni. Magari uno era un gran momento perché l’emozione del vissuto ce lo faceva sembrare tale. Ma poi, quando la mattina davanti allo specchio l’analisi si fa seria, in quel lasso di tempo che va dall’alzata dalla tazza alla preparazione del rasoio, ecco che alcuni di quei momenti se ne vanno negli spogliatoi.
IL GUERINO E IL RE LEONE
E il ciclo continuo della vita, che detta così magari sa tanto di Re Leone, ma ci racconta una storia vera. Per essere consacrato all’eternità (tua) un momento deve possedere quel tanto di universalità che si intreccia con la tua vita. Per capirci, prendiamo il millesimo gol di Pelè: era il 19 novembre del 1969. Avevo 10 anni, la notizia la lessi sul Guerin Sportivo, allora foglio giornale stampato con una dominante di verde, regno incontrastato di Gianni Brera e aula di molti professori del giornalismo sportivo italiano. Lo comprava mio padre, lo scompaginavo io.
TUTTO CALCIO E FIGURINE
Mille gol, il giocatore più famoso del mondo, quello che avrebbe giustiziato l’Italia sette mesi dopo mettendo fine alla storia della Coppa Rimet con il Brasile più bello di sempre. Sapete perché quel momento è rimasto eterno? Perché il virtuoso coglioncello che ero allora, tutto calcio e figurine, aveva cominciato a contare i gol segnati in ore e ore di partite giocate tre contro tre (quando andava di lusso), giù nel cortile di casa. Segnava gol e segnava in un quaderno e quando Pelè arrivò a quota mille per pareggiare il conto ne mancavano 215.
LA CORSA CONTRO O ‘REY
Niente male se si considera che O ‘Rey aveva impiegato buona parte della sua carriera e il sottoscritto appena meno di tre anni. Rispettando la media dell’ultimo anno avrei timbrato quota mille alle fine del 1971, a dodici anni e spiccioli. E giuro che pensavo davvero che mi avrebbero fatto una bella festa e che il Guerino avrebbe dovuto pubblicare la notizia.
PIERO ANGELA E IL TERREMOTO
Questo momento si piazzò al secondo posto in quel biennio denso di Storia ma anche di storielle personali. In queste ultime ci sono le firme di Piero Angela e Piergiorgio Branzi che debuttarono nel tg Rai che andò in onda a pranzo nel giorno del mio nono compleanno. Non festeggiato perché il terremoto metteva ancora paura a due giorni dal cataclisma che aveva devastato il Belice e spaventato l’intera Sicilia.
L’ADDIO A MIO NONNO
Vidi quel tg con mio nonno Angelo, la scuola era chiusa, a pranzo insolitamente c’era il pienone attorno ad una tavola abitualmente apparecchiata per due. Fu l’ultima volta che lo vidi vivo, morì qualche giorno dopo per una polmonite presa durante la fuga notturna del giorno 15 , in quel freddo gennaio che non lasciò scampo ad un asmatico cronico.
L’ANARCHICO E IL SEGRETO
Mio nonno era l’unico a sapere che contavo i gol segnati, un segreto regalato ad un uomo a cui non diedi mai un bacio nonostante dormisse a distanza di un muro dalla stanza che ospitava i miei sogni di calciatore. Di quel nonno anarchico di cui portavo un nome che ho odiato sin dall’età della ragione, a casa per anni s’è parlato poco. E sempre sottovoce. Dopo anni ne ho compreso i motivi. Compreso ma non giustificato.
MALEDETTO PIERINO
Comunque le partite continuavano con risultati sempre più assurdi. Per dire, un 32 a 30 era cosa ordinaria. Si giocava dalla 16 sino a quando non faceva buio, tutti i giorni. Il nostro stadio, ex giardino condominiale, aveva le misure di un odierno campo di calcetto. Arrivai a quota mille prima del calcolato. Lo ricordo ancora oggi quel gol, banalissimo, senza epica e senza costrutto. Un rimpallo, il pallone che sbatte sullo stinco e prende la strada che mai avrebbe dovuto prendere. Imprendibile per Pierino, portierino che faceva miracoli e che invece quel giorno si consegnò alla mia eterna maledizione.
CHE CULO…
Io sognavo qualcosa di più scenografico, che so, magari un rigore che tutti stanno fermi a guardare. Senza sapere, ma tutti rigorosamente in silenzio. Il tiro, il gol e tutti a casa perché il pallone me lo sarei portato a casa senza dire una parola. La legge del (quasi) più grande e del più forte, calcisticamente parlando. Invece mi resta il ricordo dell’incredulità di un gol bastardo e di un’esclamazione in coro: “Che culo”. Vastasi e invidiosi. Ma avevano ragione.
UN SOGNO SPEZZATO
Il gol numero 1000. Che culo… Avrei potuto barare e annullarmi qualche segnatura precedente. Ma ero un bambino che non sapeva mentire, figurarsi poi per cose di calcio. Il mio quaderno aveva lo stesso valore delle tavole di Mosè. E diceva che la partita cominciata nel pomeriggio del 14 giugno 1971 mi vedeva a quota 999. Pensai a mio nonno, al suo sorriso camuffato dalle rughe precoci che ne trasfiguravano il viso, al fatto che se fosse stato l’arbitro l’avrebbe annullato quell’insulso gol e mi avrebbe dato la chance di realizzare il mio sogno.
VAFFANCULO, PIERINO
Ma Angelo l’anarchico non c’era più e per la prima volta, mi resi veramente conto della sua assenza. E per questo decisi di non dare la notizia, niente festa e niente Guerino. E vaffanculo Pierino, che sai che ti ho voluto bene, ma quella volta chissà a quale stracazzo tuo pensavi, che facevano bene i nostri amici a guardare le cosce di tua sorella Magda affacciata al secondo piano del palazzo di fronte.
IL BRINDISI CON PELE’
Ecco signor Pelè perché quel 19 novembre di mezzo secolo fa in qualche modo si è appiccicato alla mia esistenza. Ed ecco perché oggi festeggio io con te, il più bravo del cortile con il più grande di sempre. Un calice dei migliori, ce lo meritiamo. Alla faccia di chi ha provato a sporcarci la storia. Maradona e Pierino, più di altri.
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