H. è stata una vittima e oggi è libera. Ha preferito tacere nel giorno in cui si celebrava la giornata contro la violenza sulle donne. “Puzza di retorica” – ci ha detto – “parlerò dopo”. E oggi ha deciso di raccontarci la sua storia. “Banale, come tante” chiosa con amarezza lei che si sente una sopravvissuta.

IL PRINCIPE NERO

A guardarla chi lo direbbe mai che di botte ne ha prese tante. È di fisicità imponente, ha un piglio determinato e deciso, l’apparenza è propria di chi “i piedi di sopra mai se li è fatti mettere”. Ma la facciata nasconde un segreto inconfessabile.  Lui era il principe azzurro. Bello, normanno nei cromatismi fisici e raffinato nei modi, accogliente e brillante. Dopo aver incontrato uomini sfuggenti, P era sembrato un raggio di luce in fondo al tunnel, uno di cui potersi fidare, con il quale abbandonarsi. E invece dietro tanta perfezione si nascondeva un mostro.

IL PRIMO SCHIAFFO

La prima volta fu uno schiaffo in pieno viso. “Per gioco gli avevo dato un buffetto sulla guancia – racconta H – era solamente un gioco, a cui lui rispose assestandole un sonoro ceffone”. Seguirono le inevitabili scuse che la donna accolse, convinta che non si sarebbe mai più ripetuto.  A quello schiaffo ne seguirono tanti altri. Lei era colpevole di essere bella, di essere indipendente, di essere giovane. Lui era sempre in diritto, lei sempre in difetto. Questa era la regola di questa coppia, in cui ogni giorno un terzo incomodo faceva capolino, un’altra donna, al cui confronto H era sempre una nullità.

AMORE FILIALE…

Il vero grande amore di P era sua madre che l’aveva cresciuto alimentando una diffidenza assoluta verso le donne e la convinzione di essere perfetto. “Le femmine sono tutte poco di buono tranne me”, gli ripeteva sin da quand’era bambino. L’unica di cui potersi fidare, per sottrazione, dunque non era che lei. H. si trovò invischiata in una spirale di violenza senza neanche capirlo.

LE VIOLENZE

Una sera in macchina, lui le diede un pizzicotto talmente forte da sembrare che la pelle si staccasse via, un’altra la spinse giù dal gradino del portone di casa, in piena notte la lasciò in uno spiazzale dentro la cittadella universitaria di via Ernesto Basile. A salvarla furono i vigilantes che si avvicinarono alla ragazza, chiedendole se avesse bisogno di aiuto. Le chiamarono un taxi e lei riuscì a tornare a casa.

IL SILENZIO

H. aveva appena 19 anni. E dentro poteva contare molte più ferite di quante se ne vedessero fuori. Non una parola ai genitori, non una parola agli amici. Zitta, muta, succube, proprio lei che dell’essere uno spirito libero aveva fatto un vessillo. Che colore ha la paura? Per lei aveva e avrà sempre quello delle luci della città viste da Monte Pellegrino. Da lì lei una notte senti la morte sfiorarle la mano.

LA PAURA

A una cena fra amici, H aveva scherzato con un collega di università. “Ti guarda da sempre” le aveva detto P, puntandole l’indice contro. “ma che dici? Semmai guarda te”. Aveva risposto la ragazza, convinta – a ragione come avrebbe scoperto anni dopo – che il collega fosse gay. Non era stata convincente, anzi era stata bugiarda, cercava di coprire una liason segreta. E avrebbe avuto la punizione che meritava.

LA MINACCIA

Finse per tutta la sera, poi appena saliti in macchina le disse che le avrebbe fatto una sorpresa. La portò sulla cima di Monte Pellegrino, lì in alto dove ci sono i ripetitori della Tv. Appena usciti fuori a guardare il panorama, la abbracciò e la strinse tanto forte da sollevarla. D’un tratto lei si ritrovò in bilico nello strapiombo, con lui che le gridava: “Dillo che scopate, dillo o ti ammazzo”. Lei iniziò a piangere, a implorarlo prima e a chiedergli perdono dopo. Perdono per cosa poi. Perdono per una colpa gravissima, la peggiore che potesse commettere, essere diventata una bambola nelle mani di un orco.

LA SVOLTA

“Oggi so che sono una miracolata, so di essermi salvata” dice la ragazza oggi. “E devo tutto a Sergio, l’unico a cui ebbi il coraggio di dire la verità”. “Ti faccio stuprare da dieci ragazzi, così impari”. Questa era stata l’ultima minaccia che P le aveva rivolto in quell’estate afosa. Era chiusa nel bagno blu della sua casa di campagna al telefono con lui che le annunciava una violenza sessuale di gruppo per farle pagare la mancata risposta a un messaggio. H sapeva che l’avrebbe fatto, che quella bestia era capace anche di questo ma non aveva la forza di ribellarsi.

LA RIBELLIONE

Si gettò in lacrime davanti al wc, con la testa fra le ginocchia. E fu così che la trovò il suo amico Sergio, a cui ha continuato a volere bene tutta la vita come a un fratello, senza avere mai avuto il coraggio di dirglielo e di dimostrarglielo. Bastò che lui le accarezzasse la guancia rigata dal pianto che lei vomitò quasi due anni di supplizio, di paura, di botte, di annullamento, di umiliazione.

LA LIBERTA’

Un gruppo di ragazzi si riunì per far capire a P che mai più avrebbe dovuto avvicinarsi a H. Con le buone o con le cattive, chi lo sa. L’unica certezza è che da quel giorno  quel mostro si tenne lontano da lei. Ma se non ci fossero stati quella minaccia estrema, quella carezza sulla guancia e un amico fraterno, quella 19enne oggi donna e madre, sarebbe probabilmente morta. Forse fisicamente, di sicuro interiormente.

 

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