“Cu’ afferra un turcu è suo”, quante volte abbiamo sentito questa divertente e misteriosa espressione e ci siamo interrogati sull’origine di una frase apparentemente improbabile? Il siciliano è una lingua che contiene un fantasioso e colorito florilegio di modi di dire, proverbi e motti capaci di sintetizzare magnificamente concetti anche molto complessi.
EGOISMO E DISORDINE
In questo caso l’immagine evocativa si riferisce all’attitudine egoistica di approfittare di situazioni di disordine, confuse o non perfettamente regolamentate per impossessarsi di qualcosa senza volere renderne conto ad alcuno. “U turcu” in oggetto può anche rappresentare qualcosa di immateriale, quindi non un bene o un oggetto, ma un concetto o un argomento.
PIRATI E CORSARI
L’origine dell’espressione è collegata ad un fenomeno che interessò il Mediterraneo fin dall’antichità, quello della pirateria. A voler essere precisi, in questo caso non si parla di pirati in senso stretto, ma di corsari. La differenza, nei fatti, è minima, formalmente invece c’è, eccome. La pirateria era un’attività esercitata da predoni del mare che assalivano qualsiasi tipo di imbarcazione, a prescindere dalla nazionalità, la guerra di corsa, invece, era una pratica incoraggiata dai governi. Si, proprio così, re, imperatori e papi che combattevano per mare contro emiri e sultani, concedevano una “patente di corsa” a navigatori e avventurieri, finanziando l’allestimento di navi ed equipaggi in cambio della loro fedeltà.
CHI ERANO I TURCHI?
I corsari servivano i loro signori abbordando imbarcazioni e razziando città in cambio della facoltà di tenere per loro il bottino conquistato. Con la caduta di Costantinopoli e la nascita dell’Impero Ottomano il mar Mediterraneo diventò una polveriera. La pirateria era un fenomeno antico, ma a partire dal XV secolo la conflittualità tra i regni cristiani d’Europa e i sultani di Istanbul raggiunse l’apice. Con l’appellativo di “turchi” in Sicilia si identificavano popoli anche diversissimi tra di loro ma accomunati dalla bandiera con la mezzaluna.
LA CATTURA DEI CRISTIANI
Va da sé che i Turchi facevano largo ricorso ai corsari “barbareschi” che partendo dai porti di Djerba, Valona, Tunisi, Algeri, Tripoli terrorizzavano le coste siciliane e trascinavano in catene a bordo delle loro navi torme di prigionieri. E’ questa l’epoca nella quale sorgono come funghi in Sicilia le torri d’avvistamento costruite allo scopo di scoprire in lontananza le vele nemiche e avvertire la popolazione. Le scorrerie piratesche e gli attacchi alle navi erano sì cruente e sanguinose, ma l’obiettivo non era il massacro dei cristiani, ma la loro cattura.
GLI SCHIAVI E LE GALEE
Non si trattava di una scelta umanitaria, ma di un calcolo economico. Gli uomini e le donne catturate arricchivano i mercati degli schiavi in Nordafrica, erano impiegati in ogni genere di attività e fornivano la necessaria forza lavoro per le “sale macchine” delle galee ottomane. Si badi bene però, e qui veniamo al punto, l’usanza poco commendevole era simmetricamente riproposta dai cattolicissimi regni europei. Più ancora delle merci preziose, l’obiettivo dei corsari era catturare nemici da ridurre in schiavitù.
PAGARE PER LA LIBERTA’
Con una differenza, mentre per i cristiani in mano turca era possibile sperare nella liberazione attraverso il pagamento di un riscatto, e a questo scopo sorsero alcune congregazioni che si occuparono di raccogliere offerte per il rimpatrio dei “captivi”, per i barbareschi catturati non c’era speranza. Nei paesi islamici, infatti, per scelta religiosa non era prevista alcuna organizzazione che raccogliesse fondi per far tornare a casa i prigionieri.
L’EDITTO DI COLONNA
Trapani fu in quei secoli un importante porto corsaro e uno dei più fiorenti mercati di schiavi del Mediterraneo ed è qui che convergono che le varie tracce seguite per scoprire l’origine del detto “cu afferra un turcu è suo”. Esistono sul tema due scuole di pensiero che però non entrano in contraddizione tra di loro. Secondo la più accreditata, la frase sarebbe stata contenuta in un documento del viceré di Sicilia Marcantonio Colonna, che in base agli ordini ricevuti da Carlo V organizzò un raid di navi corsare contro la base barbaresca di Monastir.
TENETEVI I PRIGIONIERI
Colonna promise ai capitani dei vascelli trapanesi la facoltà di razziare e tenere il bottino, quelle che oggi chiameremmo “esenzioni fiscali” e musica per le orecchie degli scorridori dei mari di allora che: “Cu afferra un turcu è suo!” Piena libertà di tenere per sé come schiavi i musulmani fatti prigionieri.
DIRITTO DI PRELAZIONE
Secondo un’altra scuola di pensiero, invece, il detto era contenuto in una sorta di regolamento del mercato degli schiavi di Trapani, che concedeva una sorta di diritto di prelazione sugli schiavi non aggiudicati all’asta toccandoli prima degli altri.
LA VALLETTE E DRAGUT
Infine, a proposito di schiavi, pirati e cavalieri un significativo episodio che vale la pena ricordare. Un giorno il Gran Maestro dei Cavalieri di Malta, Jean Parisot de La Valette, si trovava a Genova ed ebbe notizia che su una galera della Repubblica Marinara era incatenato al remo nientedimeno che Dragut, spietato ammiraglio della flotta ottomana che aveva seminato il terrore nel Mediterraneo.
LA FORTUNA CHE CAMBIA…
La stessa sorte era capitata, anni prima a lui, fatto prigioniero proprio dal corsaro turco. E così, divertito dalla circostanza La Valette volle fare visita al fiero avversario. “Usanza de guerra signor Dragut”- esordì il Gran Maestro quasi a volersi scusare. “Y mutanza de fortuna” – fu la pronta replica. Un botta e risposta tra uomini temprati da mille avventure e avversità e che contiene una morale da tenere ancora oggi presente.
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