In una limpida giornata di mare calmo, la storia riemerge dai fondali delle Isole Egadi, forte, prepotente, affascinante. Due rostri in bronzo, micidiali armi da guerra utilizzate dalle flotte romane e cartaginesi nel corso della Battaglia delle Egadi, riappaiono dopo 2260 anni agli occhi di chi per tanti anni ha collaborato con Sebastiano Tusa e in qualche modo gli rende omaggio, continuando ciò che più di tutto aveva voluto nella sua carriera da archeologo e uomo di scienza. Era il luglio 2019.

SENZA IL PROFESSORE

Un team italo-americano di subacquei altofondalisti, gli uomini della fondazione statunitense RPM da molti anni partner del progetto, la Soprintendenza del Mare. Tutti con gli occhi lucidi nel vedere i reperti che per la prima volta non vengono “accolti” dal Professore nel momento in cui lasciano il mare che li ha custoditi per duemila anni. Un silenzio quasi irreale durante operazioni che solitamente sono convulse e caratterizzate da decine di persone che sul ponte della nave si adoperano per l’ultimo atto di una ricerca estenuante durata settimane.

LA SPADA DEI FONDALI

Questa volta, e per la prima volta, è stata quasi una commemorazione dell’uomo che per tanti anni ha diretto le indagini, le ha fortemente volute, ci ha messo il proprio sudore e la propria fatica. E’ stata una campagna di ricerche, quella del 2019, particolarmente significativa per due motivi: è stata la prima portata avanti senza il suo ideatore Sebastiano Tusa, anima delle ricerche, e la prima dove viene rinvenuta un’arma metallica. Una spada lunga 70 centimetri con impugnatura, probabilmente un gladio, ritrovata a 80 metri di profondità e che per la prima volta fornisce un ulteriore elemento utile  alla ricostruzione degli eventi.

LA TAC AL GLADIO

Fino ad oggi sono stati individuati e recuperati numerosi rostri, elmi, anfore, materiale di bordo, piatti, brocche, mai armi. E questa era una delle conferme che mancava. Un risultato atteso da molti anni e solamente adesso confermato. Il reperto, subito dopo il recupero, è stato trasportato al Dipartimento di Biomedicina, Neuroscienze e Diagnostica avanzata dell’Università di Palermo. Qui indagini radiologiche e una TAC tridimensionale hanno confermato la forma della spada, oggi totalmente concrezionata dagli organismi marini che nei secoli l’hanno interamente ricoperta. Insomma un grande risultato che incoraggia la prosecuzione delle ricerche e la forte volontà di continuare nel progetto.

LA BATTAGLIA E LA STORIA DEL MEDITERRANEO

Un altro ritrovamento di grande rilievo nella campagna 2019 sono stati due elmi in bronzo del tipo montefortino, utilizzati dai soldati dell’esercito romano, che presentano sulla sommità una decorazione con forma di uccello e una torre. Una tipologia di decorazione, fino ad oggi mai rinvenuta, probabilmente identificativa di ufficiali romani. Durante le indagini condotte in questa ultima campagna sono state rinvenute anche molte anfore di varia tipologia e due chiodi di grandi dimensioni, probabilmente appartenuti alle imbarcazioni delle due flotte che nel 241 a.C si scontrarono a nord-ovest dell’Isola di Levanzo nella battaglia che sancì la fine della prima guerra punica. Uno scontro che vide soccombere i cartaginesi ai romani, cambiando così la storia del Mediterraneo.

LA RICERCA RALLENTA

Purtroppo quest’anno le ricerche, programmate per questa primavera, subiranno uno stop a causa dell’emergenza che stiamo vivendo. Anche la ricerca scientifica deve rallentare a causa dell’impossibilità di spostamento di uomini e mezzi indispensabili per queste operazioni in mare. Si riprenderà appena possibile, con l’immutata voglia di accrescere le conoscenze su questo capitolo della storia che tanto ha dato alla Sicilia e tanto darà alla memoria di un grande archeologo. 

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