È una discriminante nelle serate che contano. E chi porta il vino ha sulle spalle una responsabilità mica da ridere. Il dilemma: prendo una bottiglia che costa un botto ma magari è poco conosciuta o l’etichetta meno pregiata però più consona alla cultura di commensali che non sono sommelier? Fa più figo il rosso o è più chic il bianco? Meglio andare sui vini nazionali di chiara fama o privilegiare i vitigni autoctoni? Domande che tutti, almeno una volta, ci siamo fatti, specie se la scelta di una bottiglia prescinde dalla tavola e si escono i calici solo per il gusto di bere.
TE LO DICE L’ESPERTO
Domande che non hanno risposte universali. L’unica è attenersi al principio del buon bere, cioè distinguere un buon vino da una ciofeca. E per fare ciò è saggio affidarsi ai consigli di una guida esperta. Il nostro cicerone, che ci conduce per mano in questo viaggio tra le etichette, è Nino Aiello, siciliano di nascita e uomo di mondo per professione, padre dei critici enogastronomici della nostra regione. Governatore di Slow Food quando la fenomenale macchina da guerra di Carlo Petrini era agli albori, brillante penna de L’Espresso, implacabile cercatore di pepite per conto del Gambero Rosso, uno dei pochi in Italia ad avere trasformato la scrittura del bere e del mangiare in una forma di letteratura per nulla minore, potremmo definirla laterale.
I SEGRETI CHE PRECEDONO IL PALATO
Oggi che il vino è di moda è diventato trendy anche spacciarsi per intenditori, persino nei casi in cui, in degustazione cieca, non si distinguerebbe un Brunello di Montalcino dal Tavernello. Eppure, con pochi e mirati accorgimenti, ci si può accostare al bicchiere facendo la scelta giusta. Che poi si traduce nel bere bene e nel non fare figure barbine. E allora, prima di andare in enoteca, seguiamo le tracce di Aiello. “Parliamo di vini convenzionali, lasciando da parte i naturali, i biodinamici e via discorrendo. La prima cosa da osservare è il colore che deve essere coerente con il vitigno e con l’annata. Un bianco giovane, per esempio, è impensabile che abbia una tonalità giallo oro. Ma è fondamentale anche lo spettro aromatico, il profumo che al naso rivela la coerenza di lavorazione, se è stato in botte grande, oppure in legno o in acciaio. Sono dettagli essenziali che precedono il giudizio del palato, ovviamente fondamentale”.
L’ETERNA LOTTA TRA BIANCO E ROSSO
Detta così sembrerebbe venir meno la soggettività del gusto, eppure non è proprio così. Riconoscere la qualità di un vino non significa automaticamente apprezzarlo al palato. Senza considerare l’eterna lotta tra il rosso e il bianco, sulla quale superfluo pronunciarsi, ma le cui differenze possono già fornire più di una indicazione. “Sempre per semplificar – continua Aiello – il bianco presenta al palato una buona acidità che ricorda anche le sensazioni del naso. Nel rosso incidono i tannini, aggressivi se il vino è giovane tanto da sentirsi sulle gengive; quando sono più maturi determinano una certa rotondità e il vino si presenta più setoso”.
IL PODIO DEL VINO SICILIANO
Incredibile a dirsi, se si guarda a qualche decennio fa, ma la Sicilia oggi è diventata apprezzata terra di vino, con una sua qualità e una sua riconoscibilità. E se in termini di reputazione è ancora distante dalle produzioni piemontesi e toscane, è però in grado di essere competitiva sul mercato, soprattutto con i suoi vitigni autoctoni. “Il nostro podio è composto da Nerello Mascalese, Nero D’Avola e Carricante, nell’ordine. Poi ci sono due eccellenze di nicchia come il Passito di Pantelleria e la Malvasia di Lipari. Ma c’è da dire che in generale la produzione siciliana ha di molto elevato i suoi standard e il merito è di chi ha avuto la capacità di scrollarsi la polvere di dosso e dare nuova linfa al vino dell’isola”. Lasciare da parte il Cerasuolo, unico Docg, non può essere una dimenticanza. “È un vino che ha una sua storia, ma oggi non ha una vita brillante, non ci hanno puntato molto”. A proposito di storia: il Marsala? “Non ce l’ha nessuno persino a Marsala, ho detto tutto”.
IL FUTURO SI CHIAMA ETNA
Il futuro ha una direzione? “È quella dell’Etna, senza dubbio. La direzione del futuro è quella che viviamo anche nel presente, l’Etna garantisce qualità e distinzione e può consentire di lavorare sulle specificità delle singole contrade che presentano caratteristiche diverse e ancora da affinare. Basta guardare i riconoscimenti che le cantine etnee hanno sommato in questi ultimi anni, il loro volume di bottiglie, le quote di mercato. Senza dimenticare le guide più accreditate che potrebbero fare un inserto dedicato esclusivamente ai vini dell’Etna. Il vulcano ha caratterizzato quella porzione di terra e i produttori oggi hanno la consapevolezza di lavorare una terra benedetta”.
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