Ne avevo parlato con Pamela Conti, ma del calcio femminile continuo a conoscere poco. E forse grazie a questo sono lucido, per quanto almeno lo si possa essere quando sul verde del campo si dipinge la maglia azzurra dell’Italia. In ogni caso, spesso chi non conosce è avvantaggiato dall’essere fuori dagli schemi ormai ossidati. Ho visto la partita fra Australia e Italia come fosse una storia, come fosse un film. Il finale, 1-2 al novantacinquesimo.
MA QUALE LUCIDITA’?
Pamela no, non è lucida. È come se avesse giocato: “Già dall’Inno di Mameli le mie lacrime non si sono trattenute. Quella maglia indossata per troppe volte, condividere diverse volte la stanza con il capitano Sara Gama e vedere dove siamo arrivate, che emozione. Vedere la partita e chiamarle per nome e qualcuna con il proprio soprannome, sorrido se ci penso”.
VORREI ESSERE COME LA BARTOLI
Azzurre che non conoscevo, tranne per qualche partita su Fifa 19, con gli amici. Azzurre come la Giuliani che il rigore alla Kerr l’aveva pure parato, sapeva che avrebbe incrociato sulla destra, lo fa sempre. Azzurre come la Bartoli che è entrata dopo, ma che se fossi donna e anche calciatrice vorrei essere lei, niente gol, ma caviglie morse all’avversario mentre guardo la sua faccia soffrire, perché di qua non si passa.
L’ITALIA ALTA 1,68
La Cernoia, che fiato, che grinta. La Gama che è un simbolo di questa Italia alta un metro e sessantotto, ma che fa la centrale di difesa, piccoli, ma vogliamo vincere. L’Italia c’è ed è bellissima. Tutto è possibile. Alla Bonansea gli annullano un gol, poi la fermano millemila volte in fuorigioco (non ho mai visto così tanti off-side in una partita): “Ho cominciato a insultare l’arbitro dal divano, un po’ gliele dicevo in spagnolo e un po’ in italiano”, dice Pamela. Che nervi, che stomaco ci vuole. Ma poi il gol arriva, perché anche se sembra mancare l’esplosività, il pressing c’è ed è cazzuto. Davanti ai suoi genitori arrivati in camper perché il papà ha la paura dell’aereo, non sa volare come la figlia.
Le australiane, alte, altissime che nel contratto hanno la clausola che le impedisce di venire a giocare in Italia, in un campionato di basso livello. Ma per cortesia. La prossima volta che dobbiamo mandargli un Del Piero, un Di Vaio o un Nesta, pensiamoci un po’ di più. E poi quella mitica Milena Bertolini che sembra l’attrice del film che sto vedendo. Convincente, non banale, tenera.
SANTA BARBARA
“C’è chi mi ha scritto peccato che non sei in campo – racconta Pamela – io invece dico grazie all’Italia per essere dove sei e quando diranno che siamo brave solo a fare i maccheroni risponderemo che lo siamo anche a fare gol a novantacinquesimo con Santa Barbara Bonansea!”.
TUTTO LO STADIO
E poi la Girelli (Pamela l’aveva detto, la sa sempre lunga lei), la Giacinti, il pubblico che canta i cori tradizionali, quelli semplici come “c’è un solo capitano” oppure “tutto lo stadio!”. Perché ancora non c’è la malizia del calcio maschile e neanche il seguito, posti vuoti ne ho visti. Peccato, si sono persi gente con gli attributi che non ha avuto bisogno di levare la maglia per fare vedere i muscoli.
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