“Non rispondono più al telefono, dileguati. E io ci ho appizzato migliaia di euro!”. È lo sfogo di un creditore del Palermo calcio, uno dei tanti, che prestava una serie di servizi esterni per il club di viale del fante, ma che da mesi non veniva più pagato. Tante promesse, soprattutto quando il Palermo rischiava di essere penalizzato per i ritardi nei pagamenti dei calciatori: “Aspettate” dicevano gli inglesi, “pazientate” continuava il presidente Foschi. E poi i Tuttolomondo e il loro entourage, che hanno dato il colpo di grazia a tutto il sistema. Si erano illusi: tifosi, dipendenti, creditori e anche qualche giornalista. Salvatore, che era già soprannominato Totò, sembrava sicuro di sé. Alla fine della fiera la delusione è cocente, soprattutto per chi grazie al calcio lavora. E a poco servono i proclami delle ultime ore diramati sui social e le giustificazioni. Nessuno si fida più di questa società che la notte del 24 giugno ha avuto perfino il coraggio di mostrare a giornalisti e tifosi i bonifici con cui lo stesso giorno aveva pagato i giocatori. Peccato che, per stessa ammissione di Tuttolomondo, gli stessi siano stati annullati. Perfino i giocatori del Palermo hanno girato le spalle a questa proprietà, con un comunicato inoltrato alle agenzie di stampa nella serata di ieri, in cui mostrano solidarietà ai dipendenti che perderanno il lavoro e parlano di fatti incresciosi che hanno ferito e illuso un’intera città e la sua tifoseria. Nella nota i calciatori rosa – riferendosi alla nuova proprietà e ai dirigenti – parlano anche di perdita di credibilità, di promesse mai mantenute e di obiettivi programmatici mai raggiunti.
LE CONSEGUENZE DI UN FALLIMENTO
Azzerare un club come quello del Palermo non ha ricadute solo a livello sportivo. Molte storie si intrecciano col calcio, soprattutto storie familiari. Non sarà solo il pallone a non rotolare più sui campi dei campionati professionistici. Una società che arriva al fallimento porta con sé tanti drammi. Basti pensare a tutti i lavoratori di viale del Fante che perderanno il loro lavoro, ai dirigenti, all’ufficio marketing e all’ufficio stampa, alle altre maestranze. E a coloro che prestano servizi esterni, come la manutenzione dello stadio e del campo da gioco, ai tecnici degli impianti, a coloro che si occupano della cartellonistica, della biglietteria, agli steward e a tutti quelli che quando gioca il Palermo ne approfittano per sbarcare il lunario. Per esempio i venditori di panini di Piazza De Gasperi o i venditori di maglie o sciarpette. Per non parlare del danno alla città, che in mezzo a mille problemi ha nel calcio un’importante valvola di sfogo.
UNA CATASTROFE
Le probabilità che il Palermo possa essere salvato dal fallimento sono quasi nulle e poche sono le probabilità che molti creditori recupereranno i soldi che avanzano: “Probabilmente è anche inutile emettere un decreto ingiuntivo (dovremmo peraltro pagare delle spese legali) – spiega il nostro contatto che preferisce rimanere anonimo -. Perché anche pignorando i conti corrente non troveremmo un centesimo e la società ha un patrimonio netto praticamente nullo. Anche perché i cartellini dei calciatori torneranno in mano agli stessi. Decine di padri di famiglia – continua – perderanno il lavoro, decine di società ridurranno i loro fatturati e scaricheranno le perdite sul proprio personale. Molti bambini perderanno le loro vacanze e i loro giocattoli. E alcune famiglie avranno difficoltà a portare avanti mutui e a dare da mangiare ai figli. Tutto per questo per il capriccio di gente arrogante che ci ha portati al fallimento, non curandosi minimamente delle conseguenze delle sue azioni”.
PERICOLOSI SEGNALI
Di avvisaglie ce n’erano, tra queste un messaggio whatsapp, mandato in modalità broadcast da un dirigente del club ai 60 dipendenti del settore giovanile in scadenza di contratto. In sintesi “un benservito al 30 giugno”. Un intero comparto, senza che ancora ci fosse la certezza di giocare in B o in C, smantellato. Un’aria di smobilitazione che non lasciava presagire nulla di buono. Per non parlare del modo in cui a questi lavoratori è stato comunicato il fine rapporto, che già dice molto. Poi la continua ricerca di aiuti esterni, ad imprenditori ma anche a presidenti di A e di B.
D COME DISASTRO
Per capire quanto sia veramente duro il salto nell’inferno della D, basti pensare che chi vorrà vedere le partite del Palermo in tv non lo potrà fare, perché le pay per view non sono interessate al campionato dilettantistico. Ed è davvero improbabile che qualcuno di esse possa decidere di acquisire i diritti delle partite, perché i costi sono notevoli e anche se il bacino di utenza palermitano è importante, il gioco non varrebbe di certo la candela. Il Palermo in D potrebbe significare anche rinuncia allo Stadio Renzo Barbera. I costi di manutenzione sono alti per un impianto così grande che tra l’altro non avrà, con molta probabilità, un ritorno di pubblico importante. Diversi anni fa, in C, veniva spesso chiuso l’anello superiore dello stadio. Potrebbe essere una soluzione praticabile, ma non è detto che non si opti per soluzioni meno dispendiose. Come il velodromo o l’impianto di Santa Flavia in cui giocava la Primavera. Dipenderà poi da chi sarà il nuovo proprietario, che dovrà confrontarsi anche col sindaco e accettare le nuove condizioni per il rinnovo della concessione scaduta.
ALLA FINESTRA
La famiglia Tuttolomondo minaccia battaglie, sostenendo che non mollerà il titolo sportivo. Ma è molto probabile che alla fine ceda, consegnando i libri contabili al primo cittadino , atto che confermerà di fatto il fallimento. Intanto stanno a guardare la situazione, da possibili interessati, parecchi presidenti ed ex presidenti di A. Si fanno i nomi di Massimo Ferrero, Enrico Preziosi, Andrea Della Valle e Urbano Cairo, che vedrebbero nel Palermo un buon investimento. Alla finestra anche Dario Mirri, proprietario della Damir, che qualche mese fa salvò il club dalla penalizzazione con 2,8 milioni di euro con cui si aggiudicò la concessionaria pubblicitaria al Renzo Barbera. Tale investimento consentì a Foschi e alla signora De Angeli, di pagare gli stipendi dei giocatori. Un sacrificio che ad oggi sembrerebbe essere stato inutile, ma che ha consentito al pubblico rosanero di conoscere la famiglia Mirri e la grande passione di Dario per il Palermo. Adesso proprio lui, il re della cartellonistica pubblicitaria a Palermo, potrebbe presentarsi in tribunale con una cordata locale per partecipare all’asta fallimentare.
MONOPOLI BANDITO
Il nome di Mirri è perlopiù gradito alla piazza, che spererebbe in un nuovo corso che preveda anche passione e amore per il club e la città. Componenti importanti – forse appartenenti ad un calcio antico di cui tutti sentiamo la mancanza – che in questi anni sono mancati. I tifosi si augurano altresì di ridurre al minimo l’imprevisto di avere a che fare ancora con avventurieri che hanno scambiato il Palermo calcio e la città di Palermo per il tabellone del gioco del Monopoli. Che si riparta dal via se necessario, ma senza il rischio di dover addebitare ancora una tassa di lusso a chi ha solo la colpa di essere tifoso.
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