Non è mai una questione di ambizioni o di carriera. Le persone che scelgono di fare l’insegnante solitamente si dividono tra chi sente, anche quando subentrano l’età e il disincanto, la vocazione di guidare le generazioni future nel processo di crescita umana e culturale e chi lo fa sostanzialmente per ripiego. La storia di Mauro Palumberi, professore palermitano 31enne delle scuole medie, è quella di un giovane che ha maturato l’idea in modo quasi fortuito; intraprendendo un percorso lavorativo del quale si ritiene su tutta la linea soddisfatto.

UN INCONTRO CASUALE

“E adesso?”, una domanda che ha accompagnato la stragrande maggioranza dei laureati al termine dei loro percorsi e che allo stesso modo si è posto Mauro, laureato in Geologia. L’idea è quella di esercitare, o quantomeno provare a farlo, la professione correlata al suo titolo di studio. Nell’estate del 2014 mentre sta valutando l’idea di trasferirsi all’estero, si imbatte navigando su internet nel bando per il Tirocinio Formativo Attivo, scoprendo di avere i requisiti per potervi partecipare: “Prima di allora – racconta – non avevo mai pensato di fare l’insegnante ma ho avuto subito la sensazione che questa potesse essere la mia strada”. Dopo aver passato le preselettive e intrapreso il percorso formativo si abilita come professore di matematica e scienze, vincendo successivamente il concorso per diventare insegnante di ruolo.

L’INIZIO A USTICA

Il suo primo incarico lo ottiene nell’ottobre del 2015 come supplente a Ustica, dove lavora per due anni, vivendo un’esperienza importante. Tanto a livello umano, quanto professionale. Insegnare in una realtà come quella usticese è sicuramente diverso rispetto al farlo in altri centri, grandi o piccoli che siano: “Devo premettere che ad Ustica c’è una percezione ed un rispetto del ruolo dell’insegnante di gran lunga superiore rispetto a quella che si ha in Sicilia e in Italia. I ragazzi lì sono molto educati e meno maliziosi dei loro omologhi sul territorio nazionale. Certo, in una scuola che ormai va a braccetto con la tecnologia, l’arretramento del posto in tal senso crea qualche difficoltà ma a livello didattico ho comunque potuto lavorare molto bene”.

COME MERY PER SEMPRE

michele placidoUna volta diventato professore di ruolo per Mauro si aprono diverse possibilità e tra queste c’è quella di un incarico come docente al Carcere Malaspina: “Ho deciso di andare lì perché ho ritenuto che fosse il momento giusto e l’età per fare un’esperienza forte, che potesse lasciarmi un’impronta formativa importante”. Se non inevitabile quasi, che all’associazione insegnante-Malaspina il pensiero vada a Mery per sempre. Il film, ambientato proprio nel penitenziario minorile palermitano, narra le vicende di un professore milanese alle prese con una classe di giovani detenuti. Questi ultimi erano inizialmente restii ad accettare ruoli ed insegnamenti. Il contesto è sicuramente diverso rispetto a quello raccontato trentanni fa: “A livello ambientale – spiega – il carcere oggi assomiglia più ad una comunità di recupero. In essa lavorano diverse professionalità con i ragazzi rieducati attraverso lo svolgimento di attività formative non solo scolastiche”.

UN PUNTO D’EQUILIBRIO

Il quadro è cambiato da allora, ma le difficoltà nella professione sono rimaste più o meno le stesse nelle quali si imbatteva il professor Marco Terzi: “Mi interfaccio con ragazzi che, al di là dei loro trascorsi, sono per mentalità chiusi nei confronti dell’istituzione. E ciò rende complicato lo svolgimento del lavoro”. Come si può allora insegnare a dei ragazzi che ti vedono già in partenza come un nemico? Fondamentalmente trovando un punto d’equilibrio. “Prima ancora che sui programmi, la base del lavoro si costruisce sul piano educativo ed empatico. Bisogna far avvicinare ragazzi con storie al limite alla tua figura per poi creare interesse nei confronti di ciò che stai spiegando. Qualunque sia la materia, senza essere né troppo accondiscendente né troppo autoritario”.

IL FUTURO

C’è una differenza però rispetto a quanto accade nel film al professor Terzi. Placido alla fine straccia la domanda di trasferimento per rimanere nella scuola dove è stato in un qualche modo accolto. Mauro, infatti, il futuro lo immagina lontano dal contesto del carcere minorile. “E’ una parentesi destinata prima o poi a chiudersi – dice – che però mi ha dato e mi sta dando tanto a livello didattico e di crescita personale. Nelle difficoltà come nelle soddisfazioni non potevo fare scelta migliore di quella che ho fatto”.

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