Non chiamateli al cellulare di pomeriggio perché non risponderanno. Tutta la famiglia Amato è impegnata all’interno del campo Agliastrelli di Carini a tirare linee, memorizzare schemi di gioco, educare giovani e organizzare trasferte. Senza però dimenticare di pulire i bagni. Strategia che paga se si considera la recente promozione dalla seconda alla prima categoria. Ogni particolare è importante per un nucleo familiare abituato a vivere di pane e pallone. Rosario Amato il capofamiglia, palermitano, ex portiere del Trapani negli anni ’70 (provò anche per il Palermo di Veneranda), ha sempre sognato il calcio sin dalla tenera età.

UNA VITA NEL CALCIO

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Rosario Amato in volo con la maglia del Trapani

“Ho iniziato, piccolissimo, calciando i palloni per strada, poi a tredici anni ho deciso che quello doveva essere il mio futuro e ho addirittura nascosto l’età per giocare in terza categoria. Ero più formato degli altri ragazzini e il trucco riuscì. Ho fatto le giovanili nel Tommaso Natale dell’allora presidente Carollo, l’allenatore era De Luca, entrambi famosissimi nel panorama calcistico giovanile dell’epoca e in seguito arrivò il Paternò in serie D, avevo 17 anni”. Questa la storia calcistica di Rosario con campionati e prestazioni che gli consentirono di arrivare prima alla Massiminiana di Catania sempre in D con allenatore Valsecchi, ex portiere rosanero nel dopoguerra e due anni dopo al Trapani. “Le mie stagioni migliori: quattro per l’esattezza, indimenticabili culminate con il provino per il Palermo. Da quel momento, la parabola discendente, ma non ho mai smesso di pensare al calcio.”

C’E’ VITA DOPO IL RITIRO?

Rosario però non è mai uscito da quel mondo fatto di tifo e colori. Così è passato sull’altra sponda, in panchina: allenatore prima del Carini, poi a piazza Armerina e ancora nei campionati di promozione. Infine, nell’82 arriva il progetto Iccarense: un’associazione calcistica a Carini che punta al settore giovanile. E Omar e Rosario allenano in maniera unica, altro che Mourinho, lo special-one non ha mai pulito un water e sicuramente non ha mai preparato il campo nel pre-partita. “Mi dividevo tra il nuovo progetto e la scuola calcio di Piazza Armerina. Allenamenti giorno e notte finché ho mollato la scuola per dedicarmi totalmente all’Iccarense che ormai in Sicilia è diventata un vero e proprio vivaio, infatti abbiamo mandato ragazzini anche a Palermo, Trapani e Catania. La mia è una passione che si tramanda da generazione in generazione”.

DI PADRE IN FIGLIO

Omar Amato
Omar Amato, figlio di Rosario

Mio figlio Omar si sveglia la mattina e va al campo ad allenare, poi spogliatoio, lavanderia e infine a pulire i sanitari. Se c’è una partita in mezzo si ripete il processo nel corso di tre ore. Anch’io ero un tuttofare, non allenavo e basta, ma curavo i particolari. E ho tramandato questi valori a mio figlio. Tirare le linee del campo con precisione e sistemare le reti è un lavoro abbastanza specifico e preciso dove serve competenza. Ormai Omar è diventato un ingegnere del campo da calcio. E’ fidanzato e anche lei partecipa curando i compiti di segreteria. Insomma, tutto in famiglia per continuare la tradizione e per valorizzare lo sport che in Sicilia, se non è il Palermo, paga poco. Noi ci riusciamo perché siamo circondati da persone di valore: i ragazzi che vengono a giocare non prendono soldi. Anzi. A volte li escono per le trasferte come quella di Lampedusa, pagando una parte del viaggio”. Dilettanti allo sbaraglio? “Non proprio perché, alla fine, vinciamo (ride).”

LA GIORNATA DI OMAR

Omar il figlio di 35 anni è anche lui ex giocatore, ma al contrario del padre dalla carriera sfortunata: cominciò ad allenarsi con papà quando era bambino, poi quattro anni nelle giovanili del Palermo e due al Brescia con Pietro Lo Monaco, direttore sportivo; Acireale in C2 e infine un brutto infortunio al ginocchio che lo ha costretto all’addio. “Tantissima qualità, centrocampista dai piedi buoni. -dice papà Rosario- Un Pirlo del sud, lui tirava e io paravo. Poi dopo l’infortunio ha deciso di dedicarsi insieme a me alla Iccarense diventando un vero e proprio tuttofare. Ha fatto rinascere il campo Agliastrelli che era in condizione di abbandono, ma questo in fondo è una caratteristica tutta siciliana: far morire impianti sportivi che già scarseggiano. Noi lo abbiamo ripreso e rivalutato, con cure continue perché in terra battuta, fino a farlo diventare il simbolo in cui festeggiare le nostre vittorie”. Come l’impresa dalla seconda alla prima categoria. Poco? Una Champions per chi costruisce risultati e futuri calciatori made in casa.