Scirea e il rimpianto per la maglia rosa mancata
Eppoi c’era lui, il libero gentiluomo. Il difensore Mundial in campo e fuori, col 7 in Spagna (bizze della convocazione numerica per reparto). Oggi sono 30anni senza Gaetano Scirea scomparso in un tragico incidente stradale in Polonia: doveva visionare la squadra che la sua Juve avrebbe affrontato al primo turno di coppa.
Una carriera esemplare come la sua vita: una famiglia, una maglia e una squadra (dall’Atalanta, dove esordì, poi sempre alla Juve). Modi da signore ereditato da una famiglia lombarda, di quelle che fanno di lavoro ed educazione una cultura. Mai una parola fuori posto, mai un eccesso, leaderismo innato e fascia al braccio in una squadra di mostri sacri. Si racconta che nella stanza che divideva col suo compagno di stanza Dino Zoff l’unico sottofondo fosse il silenzio.
Ha vinto tutto vinto calcisticamente parlando, con l’aria di chi ha sempre da imparare e molto da insegnare, ma con grande umiltà. Una Bandiera, un calciatore serio quanto evoluto (fu uno dei primissimi liberi ad impostare l’azione e a tentare sgroppate finalizzatrici), rispettato da compagni, colleghi e tifosi avversari in virtù proprio di uno stile di vita e di campo unico e solo.
Non ha fatto in tempo a vedere la sua Juve in serie B. Per sua fortuna. Né le Champions perse in dirittura d’arrivo. E per sfortuna, stavolta solo nostra, neanche la sua amata maglia numero 6 colorata di rosa. Il colore simbolo del Palermo che diventò anche una divisa della Juve. Bizzarrie del calcio moderno, il bianconero che si trasforma in rosa per motivi di marketing. Ma sarebbe stato per noi un onore vedere la sua indimenticabile sagoma con i nostri colori.
Oggi si fa fatica nel mondo del calcio a reperire una figura della statura di Scirea, in un’inflazione di Wande e Raiola, gel e tatuaggi, sproloqui fuori posto e gossip patinati. Forse al Bernabéu in quella storica finale un eccesso di esultanza, un groviglio di gambe ed uomini felici e quella coppa alzata al cielo da Capitan Dinone. Un frame che rimane impresso nella mente di chi, come me allora ragazzino, faceva man bassa di figurine e gli stava antipatica la Juve e i suoi giocatori perché vincevano quasi sempre.
Tutti antipatici, tranne uno. Il libero gentiluomo.
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