Sarà che quelli della mia generazione vedevano tutto sotto la lente dell’impegno politico, ma la parola discoteca per tanti anni fu sinonimo di eresia. Già andare a giocare a pallone durante scioperi e cortei ti portava automaticamente al confine con il Psdi. E Villa Gallidoro diveniva luogo del peccato, quasi che fosse un cinema porno, oppure proprio una discoteca.
TAPPA OBBLIGATA
La discoteca, nella formazione di ciascuno di noi, ha rappresentato una obbligata tappa di passaggio. La variante era solo una: per quale numero di anni? In Sicilia e ovviamente a Palermo correvi il rischio di dilatare il periodo, per mancanza di alternative e per pigrizia. Perché in fondo era un luogo sicuro, dove incontravi amici e il contatto con l’altro sesso era assicurato per statuto.
LIFE E PAPE’ SATAN
Ci sono nomi che restano nella memoria anche se non hanno mai fatto parte del tuo vissuto. Penso, ad esempio, al Life o al Papè Satan, entrambe discoteche nel quadrilatero di casa mia. Per limiti di età non vi misi mai piede, ma nel mio immaginario rappresentavano la trasgressione e il sogno di un mondo a cui prima o poi sarei appartenuto.
UN AUTENTICO FESSO
A 12 anni si è fatti così. E forse anche molto dopo: il gusto del proibito esercita un’attrazione fatale. Davanti al Life andavo a fumare, platealmente, per comunicare ai buttafuori che avevo l’età anche se non la dimostravo. E che non entravo solo per scelta, non per mancanza di requisiti minimi. Da autentico fesso.
PALERMO DI UNA VOLTA
Del Life, col tempo, mi ero persino dimenticato dell’esistenza. Ci ha pensato recentemente Giuseppe Urso, animatore e stimolatore delle nostalgie generazionali attraverso il gruppo Facebook Palermo di una volta. Ha una collezione di adesivi da paura. E qualche giorno fa il gruppo (su iniziativa di Vincenzo Siino) ha pubblicato pure quello del Life. Bellissimo. Andate a vederlo.
PANE E LED ZEPPELIN
Ammetto che non andavo pazzo per le discoteche e odiavo cordialmente la disco music, ben prima della Febbre del sabato sera e del suo sdoganamento. Cresciuto a pane e Led Zeppelin, per me Smoke on the water era quasi musica commerciale, altro che Gimme some o Rock the boat. Eppure ho avuto anche io le mie stagione in discoteca. Un paio, quanto basta per avere chiara la mappa dei luoghi e i significati più nascosti che ciascuna discoteca riassumeva in sè.
IL MIRAGE E IL GUSTO DEL PROIBITO
Ma la prima discoteca la conobbi in età da scuole elementari. Si chiamava Mirage, in via Emerico Amari, in realtà era più un nigth club. Mi portarono i miei genitori a vedere un concerto di un complesso (si chiamavano così, non ancora band) in cui suonava un nostro mezzo parente. Restai a bocca aperta. Atmosfera peccaminosa, almeno agli occhi di un bambino, odore di wiskhy, musica mai sentita prima. Non mi piaceva, ma il suono ad altissimo volume mi affascinava. Era un locale di gran moda prima di un epilogo all’insegna dello squallore.
LA TARTARUGA E PAPETTI
Sempre con padre e madre entrai due volte alla Tartaruga, nella piazzetta di via Sciuti. Molto più elegante del Mirage, ma anche meno rappresentativo di un’epoca. Mi portarono a vedere Fausto Papetti, il sassofonista famoso più per le copertine sexy dei suoi dischi che per le sue interpretazioni. Poi ci tornai da ragazzino, con la nostra comitiva di quattordicenni. Ed eravamo del tutto fuori luogo. Il ricordo indelebile: il primo gin fitz. Arrivai a casa barcollando.
FLASH SOUND, CASA MIA
La nostra prima discoteca fu il Flash Sound, in via Maggiore Toselli. Era di Santi Bisanti, uno che di mestiere avrebbe voluto fare il cantante e fu invece genitore di molti locali di culto. Una scelta obbligata per noi che contavamo anche ragazzine under 14 nel nostro giro. Santi, si sapeva, era solito chiudere un occhio, purché non si consumassero alcolici. E così il sabato alle 16 in punto eravamo lì, schierati lungo quel corridoio che portava giù in pista.
AMORI AL WAIKIKI
Chi se la ricorda la pista del Flash Sound? Trasparente, effetto acquario, la più suggestiva mai vista. Di Bisanti merita una citazione anche il Waikiki, in viale Galatea a Mondello. Luogo di amori, oltre che di musica. Perché d’estate i genitori mollavano un pò le redini. E la clientela del Waikiki, sebbene di sera, era molto al di sotto dei diciotto anni. E molto disinibita.
SUA MAESTA’ LO SPEAK EASY
Poche le apparizioni allo Speak Easy, la discoteca più di moda a Palermo. Era in viale Strasburgo e già questo le conferiva un certo fascino. Perché, sembrerà strano crederci, ma c’è stato un tempo, ad inizio anni ’70, in cui viale Strasburgo e i suoi paraggi erano zone di moda. Sembrava il nuovo centro di Palermo, negozi che spuntavano giorno dopo giorno all’insegna dell’innovazione. Però lo Speak Easy, anche di pomeriggio (di sera non ne parliamo nemmeno…) era in prevalenza il tempio di alta borghesia e vorrei ma non posso. E noi l’appartenenza a questi due clan non ce la sentivamo proprio addosso.
VACCARO, VILLA IGIEA E IL PARE CHOC
Lo Speak Easy era di Salvino Vaccaro, già creatore del Pare Choc, e padre putativo di molti dj di grande fama, da Gaetano Palazzo (prematuramente scomparso) a Pippo Vaccarella, oggi affermato architetto. I vip da quelle parti erano di casa, frequentava persino un calciatore del Palermo come Rosolo Vailati che sembrava più dedito alla controcultura che alla disco dance. Vaccaro ebbe qualche problema giudiziario che, fortunatamente per lui, non ha lasciato strascichi. Dello Speak Easy c’era anche la versione estiva a Villa Igiea e bisognava farsi raccomandare per essere sicuri di poter entrare. Marcello Mordino raccontò che per farlo scavalcava dall’Ospizio Marino. E si dice che c’era anche chi ci provava via mare.
LO SHAZAM E IL BARONE
Rivale e vicino di casa fu lo Shazam. E qui il ricordo si fa personale. La discoteca era del barone Giuseppe Cammarata, una gran persona perbene. Amicizie comuni ci portarono a contatto nei primi anni ’80. Giuseppe con quel mondo sembrava non entrarci nulla. E infatti la discoteca di via Belgio fu a un passo dalla chiusura. Con Marcello Mandreucci ci inventammo le serate anni ’60, grazie alla collezione di dischi della Rca che mia madre, funzionario della Rai, ebbe in regalo dall’azienda.
ROCK E ANNI ’60
Allora quella musica non l’aveva nessuno. E mescolammo gli anni ’60 con il rock, Patti Pravo ed Eric Clapton, La Bambola e Layla, novità assoluta per le discoteche. Ingresso ad inviti, primo esperimento di promoter nel campo dei locali notturni a Palermo. La consumazione magari la pagavi un pò più cara, ma lo Shazam era stracolmo tutti i venerdì, che allora non erano proprio giorni propizi per le discoteche.
BALLAMMO UNA SOLA STAGIONE
Confesso che guadagnavo più in quelle quattro giornate mensili che in un mese al Corriere dello Sport. Durò solo una stagione perché qualche rivale birichino, ovviamente con buone entrature, non ci faceva mancare visite poco gradite. Se guardie o ladri, poco importa, lo stile dell’intimidazione era identico. Giuseppe continuò per quasi 2 anni. Nel periodo di Natale del 1984 fu ucciso nella portineria della sua abitazione da una sventagliata di mitra. E così lo Shazam abbassò le saracinesche.
LA DOPPIA PISTA DEL CERCHIO
Ci provò anche Il Cerchio a contendere il primato allo Speak Easy. Sempre in viale Strasburgo, ma nella parte meno nobile, un isolato prima dell’attuale cinema Metropolitan. Doppia pista, un gran casino, ragazzi di ogni età lo prendevano d’assalto sin dal primo pomeriggio del sabato. La domenica era già diverso, l’età si alzava e anche la clientela sembrava uscita dal decennio precedente.
GRANT’S E CYRANO
Meno disco e qualche spruzzatina di soul al Grant’s, in via Principe di Paternò, che era la nostra alternativa al Flash Sound. Stesso costo del biglietto, pista più piccolina, ma soprattutto gestore a volte più pignolo sulla questione età. Del Cyrano ho il ricordo dell’insegna e nulla di più. Però un nome fantastico, altro che Paramatta.
LE COMITIVE
Oggi che sono decisamente fuori moda – per fortuna o purtroppo, a seconda dei punti di vista – viene difficile spiegare che già dalla scelta di una discoteca o di un’altra si dichiarava la propria appartenenza. Quel mondo, il mondo delle comitive, la divisione in tribù che occupavano vicoli e piazze come delle vere e proprie riserve indiane, fa quasi sorridere. Ricordi in bianco e nero che mostrano il lato romantico di una città e di intere generazioni di giovani palermitani. Ma non cadiamo nell’eccesso di considerare universale il nostro vissuto. Speciale, sì. Irripetibile, anche. Ma solo perché appartiene all’identità di ciascuno di noi. Per il resto siamo stati geni e coglioni, fuori e dentro le discoteche e secondo le circostanze. Esattamente come chi è venuto dopo.
Playlist: That’s the way – K.C. & sunshine band