Abitare e lavorare su un’isola. Essere circondati dal mare, incontrare sempre le stesse persone e conoscersi tutti. Guardare i traghetti che arrivano al mattino e poi se ne vanno, che se piove forte puoi solo immaginarteli. Sentirsi isolati, appunto. Chi non vive un’isola (che è diverso da vivere in un’isola) non può comprenderlo.
L’ISOLANO CERCA SEMPRE IL PASSAPORTO
Già un siciliano ha una percezione diversa perché la sua isola è la più grande del Mediterraneo e quindi vede terra e mare in quantità eguale. Certo, quando deve partire per Milano si chiede se serva il passaporto e se due valigie (di quelle rigide) basteranno, ma alla fine è un isolano ibrido per via delle montagne, l’Etna e l’immenso entroterra. Pensate agli usticesi o ai panteschi, lì il mare entra dalle finestre, dentro la testa.
IL VIAGGIO AL CONTRARIO
Così mi sono ricordato di due professori che sono giovani e che trovo davvero trasgressivi rispetto alle consuetudini. Penso a Marco Giordano che insegna storia e filosofia al liceo Saveria Profeta di Ustica e che lo fa da tre anni, sempre da supplente, sempre precario; e penso a Maurilio Ponzo che insegna Francese all’istituto Omnicomprensivo Vincenzo Almanza di Pantelleria. Per loro una serie di traghetti e un’esperienza da raccontare.
GLI STUDENTI DELL’ISOLA
La cosa che immediatamente salta all’occhio è l’accesso alle opportunità dei ragazzi a cui i due professori insegnano: “I mancati collegamenti durante l’inverno – spiega Marco – ci impediscono di programmare visite guidate a musei, mostre e convegni”. Così a Ustica, così a Pantelleria: “Ho sei classi – racconta Maurilio – noto nei ragazzi la mancanza di attività extrascolastica, non manifestano, non scioperano, non alzano la voce per ciò che ritengono ingiusto”. Sembra tutto negativo, ma i due professori riescono a capovolgere la prospettiva: “Vivere in questo contesto però li fa maturare più in fretta e alcuni sentendo limitante la dimensione isolana, creano straordinarie opportunità altrove portando però con sé un forte legame con l’isola” e come dice Marco, anche Maurilio: “Hanno un concetto di amicizia diverso. Molti sono imparentati e la scuola è per loro un ritrovo felice, non un impegno”. Insomma vivere su un’isola ti forma, ti prepara meglio.
LI’ DOVE NESSUNO VUOLE ANDARE
Ma studenti a parte, solitamente un professionista sceglie Milano, Roma o Torino per emergere, cosa c’è che non va nella testa di Marco e Maurilio che da un’isola grande sono passati a un’isola più piccola? “L’approccio iniziale non è stato semplice, molti di noi inseriscono questa sede pensando di non ricevere mai nessuna convocazione. E poi arriva inaspettatamente. Tanti rifiutano per timore dei disagi e dei costi da sostenere, con pochissime agevolazioni da parte dello Stato (basti pensare che da anni non viene più riconosciuto il doppio punteggio in graduatoria per i precari), altri invece accettano perché in questo periodo non si può rimanere senza incarico”.
RITORNO ALL’ORIGINE
Queste le motivazioni di Marco, la storia di Maurilio è diversa: “Pantelleria è parte di me – dice – Mio padre è pantesco, i miei nonni ci hanno vissuto dal secondo dopoguerra sino agli anni ’90. Un isolano che si sposta in un’altra isola più piccola, confrontandosi con altri isolani e più giovani, nel caso della scuola, si rende di conto di aver vissuto fino a quel momento in un tutt’altra realtà, più grande, più metropolitana, paradossalmente, più aperta. L’isolano delle piccole realtà, lontano dalla terraferma, ha pochi parametri di riferimento e quindi si trincera, si barrica. Spesso però questo porta a delle peculiarità tipiche dei piccoli luoghi che persistono e resistono ai grossi cambiamenti. Ma anche io sono qui per colpa del precariato, ho scritto a tutte le scuole italiane, solo Pantelleria mi ha contattato”.
SU ORME ECCELLENTI
E dire che nelle isole o comunque in luoghi di frontiera ci finivano alcune menti in esilio. Se Marco si vede come un “Antonio Gramsci che a Ustica trascorse quarantaquattro giorni di confino durante il fascismo”, Maurilio pensa che “mio padre a Pantelleria ha conosciuto Gabriel Garcia Marquez e in uno dei suoi racconti ha raccontato della mia famiglia, perciò sì mi sento piacevolmente esiliato”. Ora entrambi vivono su un’isola e sono parte delle chiacchiere al bar o di quelle in piazza, delle escursioni, dei pescatori più anziani, di un’aria più domestica e meno isterica. Sono come il lungomare che è infinito perché in un’isola è giocoforza circolare e il cerchio è un simbolo ricorrente di perfezione e armonia.
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