Non è difficile immaginare lo scetticismo e l’incredulità degli scazzatissimi centralinisti di Polizia e Carabinieri di turno la notte di quel 16 dicembre 1979 (freddo, vento e pioggia che Dio se l’era scordati…). Furono in centinaia, quella notte, a telefonare – da Via Belgio, Via Sciuti, Via La Farina, Via Aquileia, Via Margifaraci, Piazza Don Bosco, Corso Calatafimi, da tutta la città, insomma. E tutti riferivano, allarmati e impauriti, la stessa identica cosa: c’erano degli aerei, dei caccia, e uno di questi volava a bassissima quota, avvolto da un frastuono asimmetrico, tra i tetti, le verande e i balconi delle case. Era incredibile, ma anche vero.
LE AQUILE DI JIMMY CARTER
Quell’aereo – un Grumman Prowler EA-6B appartenente al 134° Gruppo Caccia Tattici Elettronici della U.S. Navy – era decollato dalla portaerei Nimitz, che incrociava al largo delle coste trapanesi. Stava partecipando a una delle prove generali dell’operazione segretissima – l’operazione “Eagle Claw” – decisa dall’allora presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter. C’erano da liberare i 52 cittadini americani tenuti in ostaggio da un gruppo di militanti komeinisti presso l’ambasciata americana a Teheran.
SENZA CARBURANTE
Accadde che quel Prowler – forse per un guasto agli strumenti di bordo – si era ritrovato a corto di carburante in una condizione di grande pericolo e vulnerabilità, mentre volava su un centro abitato. Il suo comandante (Robert Dark, 26 anni, tenente dei Marines) aveva dunque pensato di tornare sulla Nimitz, ma l’aereo mancò ben tre tentativi di appontaggio. Uno dei Prowler che gli volava accanto aveva tentato allora un rifornimento in volo, ma pure questo fallì.
NIENTE SIGONELLA
A qual punto Dark aveva inutilmente cercato la pista di Boccadifalco (che era ovviamente spenta e che sarebbe stata in ogni caso inadeguata), prima di chiedere alla Nimitz l’autorizzazione di dirottare su Sigonella. Quando dalla portaerei gli negarono questa autorizzazione a Dark non rimase altra alternativa che continuare a volare a vista sulla città, tentando a quel punto di bruciare quanto più carburante possibile nella prospettiva dell’inevitabile schianto.
LO SCHIANTO A CAPACI
Quando i serbatoi furono ormai vuoti, Dark puntò il muso del Prowler ormai ingovernabile verso il mare e si lanciò fuori col seggiolino eiettabile insieme al resto del suo equipaggio. Purtroppo però l’aereo non cadde in mare, come il pilota aveva sperato. Fu invece trascinato dal forte vento di tempesta su Capaci ove infine si schiantò, su una palazzina quella sera miracolosamente disabitata di Viale Kennedy.
LA MORTE DEL TENENTE
Il corpo senza vita del tenente Robert Dark (finito malamente su un costone roccioso) fu trovato la mattina seguente sul Monte Pellegrino da un pastore, mentre gli altri tre membri dell’equipaggio (P.B. Holtzbaur; Robert Handricks e Jim Mackins, tutti operatori di sistemi elettronici) riuscirono a salvarsi. Uno dei tre atterrò all’Addaura, nel piazzale del Roosevelt, proprio davanti l’auto di una allibita coppietta, gli altri due furono ritrovati, un po’ shockati ma in ottima forma, mentre camminavano in Viale Margherita di Savoia, direzione Valdesi. E a proposito di ottima forma, chi c’era racconta che uno dei due appena giunto in piazza chiese un whisky…
IL PARACADUTE A MONTE PELLEGRINO
Il paracadute rosso di Dark rimase su quel costone di Monte Pellegrino per qualche giorno, un tettuccio dell’aereo fu ritrovato in Via Saline. Dell’incidente si occupo’ la Procura di Palermo. Gli accertamenti tecnici furono effettuati da una commissione mista italo-americana, secondo quanto prescritto da una legislazione speciale del 1955 per gli incidenti militari aerei in Paesi Nato.
INCHIESTA ARCHIVIATA NELL’81
Proprio i protocolli Nato costrinsero il sostituto procuratore Guido Lo Forte a limitarsi all’interrogatorio dei controllori di volo della torre di Punta Raisi e a un’occhiata a distanza ai rottami del Prowler. L’inchiesta della nostra magistratura fu archiviata nel 1981.
VIALE KENNEDY SIGILLATO
Spinto dalla curiosità, la mattina seguente inforcai il motorino e andai a Capaci. Viale Kennedy era sigillato. Vidi a distanza la macerie della palazzina ma soprattutto uno spiegamento di omaccioni in mimetica e di mezzi (tutti griffati U.S. Army) mai visto prima. In un paio d’ore gli americani avevano assunto il comando delle operazioni.
I RISARCIMENTI
Non è difficile immaginare che già dal giorno successivo sia partito un discreto lavoro sul fronte risarcimenti. Altre due abitazioni, a parte quella sventrata dall’aereo in caduta libera, infatti subirono danni. E non è difficile immaginare un altrettanto intenso lavorio sul fronte diplomatico.
WAR GAMES E SILENZI
Fatto è che su quei war games nel cielo sopra Palermo, su quell’aereo precipitato e su quella palazzina di Capaci già dal giorno successivo calò un silenzio di piombo.
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