La telefonata mi arrivò in una calda mattina di luglio del 2010, a Pantelleria. “Preparati, si va in Giappone”. Era Sebastiano Tusa che con poche parole, come eravamo soliti fare tra noi, mi coinvolgeva in un’avventura che sarebbe stata una delle più esaltanti nel nostro percorso professionale. Essere chiamati a istruire un gruppo di archeologi subacquei giapponesi sulle tecniche di scavo subacqueo, fu un onore per noi ma al tempo stesso una responsabilità non da poco.

L’INVITO DAL GIAPPONE

Il professore Kenzo Hayashida, direttore dell’ARIUA – Asian Research Institute of Underwater Archaeology – nonchè principale esponente dell’archeologia subacquea giapponese e professore presso l’Università di Fukuoka, invitò Sebastiano Tusa, suo grande amico, a partecipare allo scavo subacqueo nell’isola di Oijka. Una missione di grande prestigio e un obiettivo importante: individuare la flotta perduta di Kubilai Khan, affondata durante il fallito tentativo di invasione del Giappone nel 1274 e nel 1281 da parte della Cina. 

L’INVASIONE DEL GRAN KHAN

Gli studi e le ricerche precedenti, a cui Tusa aveva dato già un contributo l’anno precedente, avevano portato all’individuazione di numerosi reperti riconducibili al naufragio delle quattromila navi disperse da un tifone – il famoso kamikaze (vento divino) – che caratterizzò il secondo tentativo di invasione da parte del Gran Khan dei Mongoli, Imperatore della Cina. Tra questi importanti rinvenimenti, erano stati attenzionati quelli giacenti nei fondali dell’isola di Ojika – posta in posizione strategica di fronte alla Corea – dove erano state rinvenute enormi ancore in pietra e numerosi frammenti di porcellane del tipo in uso all’epoca delle sfortunate spedizioni. 

Il gruppo di lavoro in Giappone

LA SOPRINTENDENZA DEL MARE

Nella baia di Maegata, poco distante dal centro abitato dell’isola di Oijka nella Prefettura di Nagasaki, giacevano ancora numerose testimonianze di quel naufragio. I colleghi giapponesi avevano ritenuto opportuno coinvolgere nelle ricerche il team italiano, per avvalersi delle metodologie e tecnologie che avevano reso la Soprintendenza del Mare  una delle più importanti istituzioni in Sicilia, in Italia ed all’estero nel campo degli studi e ricerche in archeologia subacquea.

IL PERICOLO DEI TIFONI

La partenza per Fukuoka era fissata per il 19 di Agosto, data non casuale, perché bisognava concludere il lavoro subacqueo entro i primi giorni di Settembre, periodo nel quale i tifoni che colpiscono la regione del Kyushu, oggi come all’epoca del naufragio,  non consentono le immersioni subacquee. La squadra italiana era composta da subacquei della Soprintendenza del Mare e da un team di tecnici partenopei che aveva il compito di effettuare indagini subacquee strumentali nella baia di Maegata.

LA PRIMA IMMERSIONE

Dopo un lungo volo Palermo-Roma-Amsterdam-Seoul-Fukuoka, e un altrettanto lungo spostamento in nave verso la zona del Kiushu, raggiungemmo la casa missione dell’università giapponese sulla piccola isola di Ojika, nella zona Sud del Giappone. Ci unimmo quindi al team di ricercatori giapponesi e a una squadra di archeologi subacquei coreani che partecipavano allo scavo. Il fuso orario e la temperatura impossibile, con un tasso di umidità fisso sul 90 percento, non aiutarono l’acclimatamento. Ma già dall’indomani ci aspettava la prima immersione. 

LA COMUNE PASSIONE

Il forte impatto con la vita e le abitudini giapponesi fu da un lato molto affascinante e intrigante; dall’altro ci proiettò in poche ore in ritmi e rituali a noi sconosciuti. Il cibo, l’approccio con le persone, le abitudini, la lingua (pochi parlavano inglese). La proverbiale ospitalità nipponica però ci aiutò ad ambientarci rapidamente. Inoltre, le frenetiche attività lavorative ci lasciavano poco tempo per i convenevoli: fu la comune passione per l’archeologia subacquea ad abbattere le differenze.

LA DIFFIDENZA

Le giornate scorrevano veloci con appuntamenti scanditi da una puntualità alla quale, in verità, ci abituammo solamente dopo qualche giorno. Il primo impatto con le colazioni giapponesi, per molti di noi, non fu facile. Da buoni italiani guardammo subito con diffidenza alle sette del mattino il pesce crudo, le zuppe, le alghe, e tanto altro che non riuscimmo a decifrare.

MOKA E NUTELLA

Pochi giorni però e il nostro palato si abituò a quella che scoprimmo come una cucina straordinaria. Tranne una mattina, quando un nostro collega, con un po’ di vergogna, confessò di avere in valigia un barattolo di Nutella e una moka con il caffè… Un briefing mattutino, di buon’ora, apriva le nostre giornate. Una mescolanza di lingue e di comportamenti che fin da subito si rivelarono la cosa più affascinante della nostra esperienza. Traduzioni simultanee da giapponese a coreano e inglese che rendevano complicato ma al tempo stesso intrigante il lavoro. E subito in barca per le operazioni di scavo subacqueo.

TRE GRUPPI SUBACQUEI

 

Ci alternavamo sott’acqua in gruppi di tre subacquei, scavando nella zona che era stata identificata come probabile luogo dell’affondamento. Circa 20 metri, su un fondale sabbioso e una fauna marina per noi inusuale. Dopo il pranzo, magistralmente preparato dalle cuoche della casa missione che ci ospitava, si partiva per la seconda immersione. Al ritorno, pulizia delle attrezzature subacquee e briefing di fine giornata per valutare i risultati. Andammo avanti così per dieci giorni tra immersioni, indagini strumentali, studio dei materiali recuperati, lezioni di approfondimento sulle metodologie di scavo. 

I REPERTI RECUPERATI

Tra i reperti che individuammo e recuperammo, alcune ciotole a calotta su alto piede ad anello a vernice bianca (Hakaji) di provenienza cinese, databili all’XI-XII secolo e frammenti di ceramiche comuni giapponesi pertinenti piccole ciotole a superficie opaca. Particolarmente significativa risultò una ciotola frammentaria a vernice grigia databile alla fine dell’XI secolo (dinastia dei Sung meridionali), proveniente dalla provincia del Fujian (Cina del Sud). Interessante anche il rinvenimento di una spoletta ricavata levigando una tibia di suino, con forcella distale adoperata per la riparazione delle reti.

LA FLOTTA SFORTUNATA

Sono state anche rinvenute numerose ossa quasi tutte pertinenti suini (scapola, mandibola, ossa lunghe etc.) che vanno interpretate come residui di cambusa. I pochi frammenti di legno che individuammo, potrebbero essere pertinenti a parti di navi residue. I reperti rinvenuti costituirono un’ulteriore conferma della probabile presenza nella Baia di Maegata di relitti pertinenti la sfortunata flotta di Kubilai Khan.

L’AFFONDAMENTO

Le ceramiche raccolte, infatti, datavano al periodo in questione e ben si inquadravano nelle dotazioni di bordo della flotta, così come le ossa riferibili ad animali trasportati sulle navi per sopperire ai bisogni alimentari delle ciurme. Nelle campagne di ricerca successive portate avanti dal team del Prof. Hayashida, si individuò un’altra zona come probabile luogo dell’affondamento, alcuni chilometri più a Nord. Qui furono rinvenuti resti lignei delle imbarcazioni. Le ricerche e gli scavi sono ancora in corso.

NOSTALGIA E TRENI VELOCI

Il tempo programmato per lo scavo subacqueo si avviava a conclusione e già sentivamo la nostalgia per una esperienza che ci sembrò in quel momento, e lo fu ancora di più nel ricordo di quei giorni, straordinaria. Nei successivi dieci giorni, utilizzando gli shinkansen, treni veloci che viaggiano a 300 chilometri orari, attraversammo il Giappone fino a Tokio visitando Fukuoka, Kyoto, Nara.

LA CULTURA E IL KARAOKE

Un’immersione nella cultura giapponese che mi ha permesso di conoscere un mondo per tanti versi lontano da quello occidentale, profondamente legato alle sue tradizioni nonostante il grande sviluppo tecnologico. Un Paese per noi apparentemente pieno di contraddizioni e imperscrutabile. Da allora però ne so un pò di più. Lo stretto contatto con gli amici del Sol Levante mi ha aperto al loro modo di pensare, alla loro cultura millenaria, alle loro regole sociali. Molte cene nelle loro case, evento alquanto raro per i giapponesi, discussioni, escursioni, momenti di relax, momenti conviviali e perché no, anche serate di karaoke, mi hanno svelato ciò che non avrei mai immaginato. Una bella esperienza che a distanza di anni mi porto ancora dentro. E ne sarebbero seguite altre, ve le racconterò.

Playlist: Wooden ship- Crosby, Stills& Nash